Classi di individualità/sociali: l’intelligenza collettiva


02 Luglio 2019 | di Fabiana Fago

Classi di individualità/sociali: l’intelligenza collettiva Negli Ambienti Virtuali di Apprendimento (AVA) che sono set di strumenti per l’insegnamento-­apprendimento, progettati per potenziare l’esperienza di apprendimento degli allievi, si includono strumenti collaborativi, di comunicazione elettronica sincrona e asincrona, di supporto e monitoraggio on­line sia dell’allievo che dell’insegnante, di collegamento con altri siti predefiniti.
 
Attraverso gli AVA, l’ambiente classe può trasformarsi in un sistema aperto, centrato sull’apprendimento, piuttosto che sul contenuto; si stimola l’apprendimento centrato sui problemi, focalizzato sullo sviluppo di strategie autentiche di problem solving e di cooperazione; si facilita la comprensione di concetti fondamentali e multidisciplinari.
 
Negli AVA comunicazione, azione, decisione ed elaborazione divengono processi simultanei, mediati dalla presenza dell’ambiente (virtuale): il setting in cui essi si svolgono modellati sulle caratteristiche di un’aula, un laboratorio, una biblioteca, etc... L'organizzazione dello spazio e la disposizione degli arredi e dei materiali prefigurano modi di comportamento di docenti e studenti, assumendo un preciso significato favorendo o ostacolando le interazioni; evocando valori di cooperazione o, al contrario, di competizione, di parità o di subalternità, definendo e vincolando gesti e pratiche individuali e collettive.
 
Luogo/contesto fisico o virtuale: - spazi a disposizione - sistemazione funzionale dell’aula, - strumentazioni, sussidi, - disposizione delle persone.
 
Luogo/contesto mentale: - modalità relazionali sollecitate- caratteristiche del compito, - azioni richieste, - tipo di valutazione, - azione di sostegno del docente (scaffolding) - clima emotivo e cognitivo che lo caratterizza.
 
Il concetto di sapere, in qualità di sapere­flusso è in continua trasformazione e ridefinizione, mai finito, opposto ad un sapere gerarchicamente ordinato, predefinito e preconfezionato; in qualità di sapere­reticolo incontra attivamente gli assunti di natura costruttiva della conoscenza, ricorsiva e sempre più approfondita.
 
Parole chiave per chiarire tali concetti sono: apertura, dinamicità della conoscenza, attitudine alla ricerca, elementi che dovrebbero caratterizzare in toto le nuove generazioni; dunque, se la cultura ha a che fare con la realtà del mondo, allora una questione importante su cui interrogarsi oggi è in cosa consistano cultura e identità, di modo che si possa delineare il ruolo della scuola nell’attuale quadro di trasformazione continua e veloce. Si tratterebbe di uno dei problemi educativi più difficili del nostro tempo, che richiede la necessità di un cambiamento del modo di essere della scuola, favorendo tre passaggi di grande significato:
- da una visione statica e ripetitiva della cultura ad una aperta e complessa;
- da una concezione autoreferenziale della scuola ad una maieutica del reale;
- da una concezione disciplinare della cultura ad una vitale.
 
È noto che lo scopo della pedagogia maieutica è aiutare a imparare valorizzando al massimo le capacità individuali: utilizzare le tecniche e gli strumenti più efficaci che attivano e sviluppano le risorse personali e un apprendimento reale, duraturo e sostenibile. La maieutica è un approccio metodologico che si propone di mettere a disposizione degli insegnanti, ma non solo di questi, strumenti innovativi per raggiungere risultati significativi nell’apprendimento scolastico. Si tratta di uscire dalla logica tradizionale della pura e semplice acquisizione di contenuti, per utilizzare una strategia che parte dalle capacità che i bambini e i ragazzi hanno, sia quelle note che quelle inesplorate. Il dispositivo pedagogico della scuola, ancora ai nostri giorni, si basa sul: “Ti spiego qualcosa che, studiando o applicandoti, dovrai ripetere il meglio possibile”. È una procedura che immutatamente si ripete di anno in anno, di generazione in generazione, fondata sulla lezione frontale; e la sua semplicità, la sua banalità, la sua facilità applicativa sono ciò che consente a chiunque, pur senza alcuna vocazione educativa o particolare attitudine, di trasformarsi in insegnante applicandola in modo più o meno adatto. È proprio questo dispositivo, fortemente legittimato dall’istituzione scolastica che è conservativa di suo, la legittima a sua volta. L’approccio maieutico, invece si basa su precise condizioni procedurali e dipende da alcuni passaggi: il far fare esperienza; in un contesto sociale di gruppo; affrontando problemi sostenibili in grado di generare competenze, capacità e sapere.
 
Per realizzare questi passaggi, l’approccio maieutico propone il recupero di quelle che la scienza dell’apprendimento ci conferma essere le strategie prioritarie per imparare:
1. la motivazione: la predisposizione di una significativa necessità che spinga una determinazione volta al cambiamento, all’acquisizione di nuove conoscenze e di nuove competenze. La motivazione ha a che fare con il gusto maieutico della fatica e della conquista di nuovi orizzonti;
2. la gradualità, il processo di evoluzione personale che progressivamente si aggrega dentro l’individuo per la conquista di nuove capacità;
3. la matrice sociale, il gruppo, l’imitazione, la condivisione, il mutuo apprendimento.
 
Senza che si riscontri alcuna contraddizione con quanto già esposto, ad oggi è stato soprattutto Edgar Morin ad affrontare il passaggio relativo alla complessità ed alle conseguenze che questo comporta circa ciò che viene inteso tradizionalmente come cultura/sapere. Egli propone una nuova chiave epistemologica in grado di abbattere le cosiddette “idee mito” tipiche dei “sistemi chiusi” e al contempo di aprire la strada verso nuovi orizzonti metodologici capaci di esprimere la categoria della complessità.
 
Infatti, “Morin vuole mettere in evidenza come la fisica classica, considerata come scienza esatta, sia stata presa a modello da tutte le altre scienze che hanno infatti costituito il loro oggetto nell’isolamento rispetto all’ambiente e all’osservatore, ma soprattutto come le rivoluzioni scientifiche e le nuove teorie geometrico-fisiche abbiano scosso dalle fondamenta il tradizionale paradigma riduzionista-meccanicista e fatto crollare pertanto tutta l’impalcatura dei saperi che vi era stata costruita sopra”. Il pensatore francese ci invita pertanto ad inaugurare una nuova cultura che sia espressione di una società nuova in cui coesistono il caso e l’aleatorio e dove il “disordine” risulta essere parte complementare dell’ordine e della regolarità. Il riconoscimento delle contraddizioni insite nella realtà attuale conduce a prendere atto dell’esistenza di un “sana dialettica” in cui gli opposti convivono senza che l’uno sia necessariamente assorbito dall’altro. Egli auspica la nascita di un sistema sociale eco-auto-organizzatore, cioè di un’unità complessa in cui gli eventi e la contingenza vengano integrati con “l’ordine, le leggi, e di sfruttarlo, sfuggendo al dominio di determinismi triviali, a favore della crescita del sistema sociale stesso”. Come scrive Morin, il sistema d’istruzione “ci insegna, a partire dalle scuole primarie, a isolare gli oggetti (dal loro ambiente), a separare le discipline, a disgiungere i problemi, piuttosto che a collegare e a integrare. Ci ingiunge di ridurre il complesso al semplice, cioè di separare ciò che è legato, di scomporre e di non comporre, di eliminare tutto ciò che apporta disordini o contraddizioni nel nostro intelletto”. Ma così facendo la scuola ha formato mentalità incapaci di percepire globalmente i problemi planetari.
 
Serve un pensiero riformato, capace di interconnettere le conoscenze separate, di uscire dal locale e dal particolare concependo degli insiemi, capace di prolungarsi in un’etica di solidarietà tra gli uomini.
 
Servono modalità didattiche e ambienti che amplifichino le esperienze di apprendimento dei ragazzi. Il sociologo francese propone una testa ben fatta che fornisca l’attitudine a organizzare la conoscenza, l’insegnamento della condizione umana, l’apprendistato alla vita e all’incertezza, l’educazione alla cittadinanza e propone non solo un mutamento epistemologico, ma anche metodologico e quindi organizzativo. È evidente come, i questo modo, il pensiero complesso possa prestare il fianco al relativismo etico così che la conoscenza acquisibile mediante il metodo del connettere e contestualizzare può apparire vuota di valore e quindi povera dal punto di vista educativo. A bene guardare, la tematica della complessità, se pure esclude un modo di accesso alla verità per mera trasmissione di un discorso preconfezionato che chiede solo di essere mandato a memoria, consente un accesso al vero attraverso il riconoscimento di ciò che è ritenuto tale nel contesto sociale in cui la scuola si trova ad operare, in un lavoro di ricerca che coinvolge fianco a fianco docente e allievo. È qui che si può delineare un superamento tra cultura scolastica formale e cultura popolare che riflette la sua identità e che ripropone il suo bagaglio spirituale nell’opera di dare senso alla realtà in rapida trasformazione, cercando di ancorarla a punti di riferimento saldi e fondati. Con la rivoluzione informatica ci si è illusi che la tecnologia potesse risolvere d’un colpo il problema dell’organizzazione e della gestione dell’informazione, al fine di favorirne la reperibilità e dunque la trasformazione in conoscenza. Questa illusione ha riguardato anche settori da secoli preposti all’organizzazione del sapere, come la biblioteconomia, l’archivistica e perfino la filosofia. Oggi, dopo la prima fase di vita della grande Rete, tale illusione si è manifestata chiaramente come tale, riportando invece all’attenzione di tutti, come cruciale, il problema dell’organizzazione dei contenuti. Un Web di qualità non può prescindere da una corretta organizzazione dell’informazione, a più livelli: a livello di intera applicazione (sito, intranet o software), di singola pagina e di singolo menu. Due sono gli assunti di fondo che non dobbiamo dimenticare:
-       la tecnologia è un supporto alla gestione della conoscenza che non elimina il problema dell’organizzazione della conoscenza stessa;
-       l’organizzazione della conoscenza si fonda su principi in gran parte indipendenti dal suo supporto fisico (cartaceo, digitale o altro).
 
La cosa in assoluto più interessante del web è che è multidisciplinare e siccome è un ambiente relativamente recente (circa quindici anni sono davvero pochi per un mezzo che ha conosciuto una così grande diffusione), stiamo ancora facendo esperienza. Stiamo raccogliendo dati, spunti, impariamo da prove ed errori. E stiamo gradualmente trasferendo conoscenze da altri ambiti, attigui, affini, per adattarli a questo nuovo ambiente. Nei primi anni le interfacce erano davvero terribili, ora sono solo immature e inefficienti: senza scherzi, è un bel passo avanti. Fra qualche anno diventeranno razionali, fra 10 o 20 anni utili e ben strutturate. Forse. L’interazione uomo-macchina, l’ergonomia cognitiva, hanno dato origine a espressioni più trendy come interaction design, ma non lasciatevi impressionare: è dal passato che le tecniche si sono applicate al nuovo dominio. E il merito del nuovo dominio è che ha attirato attorno a sé vecchie competenze, alcune anche misconosciute, e ha dato loro nuovo vigore. Nei primi anni non sapevamo come trovare le cose sul web, perché quelle cose che chiamiamo informazioni non erano organizzate in alcun modo predicibile. Se qualcuno scriveva delle news sul sito aziendale, dopo un paio di mesi non c’era più alcun modo di trovarle, perché - 9 volte su 10 - venivano semplicemente cancellate. E se non venivano cancellate spesso non avevamo alcun indizio su dove e come venissero archiviate. Allo stesso modo molti errori - o dovremmo dire semplicemente “molti esperimenti” - sono stati fatti, in maniera più o meno consapevole e casuale, in ogni settore della progettazione: dalla scrittura dei contenuti, impostati come se stessimo scrivendo un libro oppure, all’opposto, eccessivamente sciatti, alla creazione di improbabili - almeno per gli scopi dichiarati - interfacce immersive, all’esibizione di capacità fini a se stesse, passando per una certa casualità nelle procedure di documentazione e progettazione, molto difformi da azienda ad azienda, da gruppo a gruppo. Negli ultimi anni è cambiato quasi tutto: i siti sono migliori sotto ogni punto di vista. Nel tentativo di costruirli un po’ meglio ci siamo resi conto che molte conoscenze di diverso livello sono implicate nell’attività di progettazione. A volte non sappiamo ancora quali e quante di queste conoscenze siano determinanti e se si applichino al web con la medesima efficacia con cui si applicano ad altri campi (vi sono indicazioni contraddittorie in alcuni settori: per esempio, non tutti gli espedienti grafici usati nelle impaginazioni offline sono adeguati all’online, il che un po’ sorprende).
 
L’apertura del sapere ­ metafora della rete stessa – è plurale, non monodirezionata o mono­ culturale, rifiutando la chiusura e la gerarchia delle conoscenze. La sua dinamicità è strettamente collegata alla struttura reticolare della rete, che trasforma continuamente attraverso nodi e nuove relazioni, la qualità e le quantità delle informazioni. L’attitudine alla ricerca è la disposizione necessaria per ritrovare l’orientamento, a mantenere la rotta nelle navigazioni plurime delle molteplici reti della conoscenza; a individuare nuove chiavi interpretative; in particolare si tratta di assumere l’immagine di intelligenza collettiva, e il concetto di ambiente di apprendimento intenzionale, proposto da CSILE.
 
La metafora dell’intelligenza collettiva ci presenta le caratteristiche di un sapere cooperativo, distribuito, flessibile e trasversale. Attraverso le dimensioni partecipative e di socializzazione, essa diviene antidoto efficace al disorientamento che accompagna la crescita esponenziale dei saperi e la loro confusa qualità, alla velocità del mutamento.
 
L’intelligenza collettiva è la dimensione culturale che si costruisce e si erge dalla rete stessa. CSILE (Computer Supported Intentional Learning Environment) di Bereiter e Scardamalia, è il modello di organizzazione intenzionale dell’apprendimento, che ne ridefinisce i luoghi, facendoli divenire comunità, che costruiscono le conoscenze, affermando che l’apprendimento è un fatto sociale, e non soltanto individuale; a comprendere le trasformazioni del testo e del tempo; il testo scritto rimanda ad una interpretazione chiusa dell’apprendimento. Esempio tipico è il libro di testo, generalmente costruito sulla base di una delimitazione spinta e di una sequenzialità tematica e organizzativa. Di conseguenza, il tempo dell’apprendimento è inteso come lineare e scandito da fasi successive predefinite.
 
Il testo della rete, con le sue molteplici forme, fa esplodere la situazione lineare, consolidata e tranquillizzante. Nella sua immediata ipertestualità e multi­medialità, il testo in rete si presenta come una rete di rimandi di rimandi. Ovvero esso diviene aperto, dinamico, approfondito, fondato sulla ricerca attiva. L’ipertesto presente negli AVA, si presenta come un mondo virtuale che favorisce e richiede l’intelligenza distribuita, un mondo aperto all’interazione continua, alla trasformazione, alla connessione con chiunque sia e desideri essere parte attiva.
 
Parallelamente, il concetto di tempo dell’apprendimento si trasforma. Passa da una forma scandita per eventi lineari (prima – durante – dopo) ad un “eterno presente” sempre rinnovato. In rete si realizza il superamento del tempo tradizionale e la dissoluzione del suo ordinamento, compresa la gerarchia del sapere e dei vincoli imposti al processo di insegnamento­apprendimento; ad apprendere in forma di rete; la “rete” come ambiente di apprendimento, metafora dai molteplici significati (rete cognitiva, rete distribuita, rete di relazioni, rete di ambienti), apre decisamente alla costruzione condivisa della conoscenza e dei significati plurali. Cooperare è la condizione necessaria per apprendere negli AVA, così come vi è la necessità di operare per apprendere processi di pensiero di ordine superiore, in grado di comprendere la complessità.


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Fabiana Fago (1976) attualmente vive e lavora a Bari, ma ha origini tarantine.Dopo la laurea in lettere moderne, ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Italianistica presso l’Università “A.Moro” di Bari. È docente specializzato di sostegno nella scuola secondaria di II grado e insegna presso un Liceo linguistico.È impegnata in diversi progetti di formazione relativi ai bisogni educativi speciali, si occupa di Alternanza scuola lavoro e di didattica per competenze collaborando anche con l’università. Attiva nella Gilda degli Insegnanti di Bari dal 2015, cura il servizio di consulenza e la newsletter.
 
 
 
 
 
 


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