Se la valutazione del personale scolastico non ha adeguata struttura epistemologica, la valutazione diviene uno strumento di pura gestione del potere. Ti valuto non per quel che sai e sai fare ma per l'obbedienza che mi presti
02 Aprile 2009 | di Gabriele Boselli*
Come si legge in Centro studi Gilda e in vari altri luoghi, e' probabile che il nuovo governo voglia mettere mano al tema della valutazione del personale scolastico. I ministri Moratti e Fioroni, memori di quanto occorso a Berlinguer, cui il tentativo di valutare i docenti costò le dimissioni, non avevano mai affrontato seriamente il tema; ma il nuovo ministro è molto giovane, al tempo della messa in fuga di Berlinguer frequentava l'università. La maggioranza che sostiene il governo ha numeri ''bulgari'' e approva sempre tutto. Inoltre sono cambiati i tempi: la gente è stata indotta dai media ad elevare il livello delle aspettative e anche delle pretese verso i funzionari pubblici; ricerche molto ''orientate'' hanno finito per convincere molti che il ''prodotto scolastico'' italiano sia di bassa qualità a causa di masse di insegnanti nullafacenti e di dirigenti scolastici, amministrativi e tecnici dormienti dietro le loro scrivanie.
Queste immagini sono fuori della realtà e diffuse strumentalmente per convincere di quanto sia inutile spender soldi nella scuola di Stato; la nostra scuola è invece di alto valore nella gran parte dei suoi componenti e non avrebbe nulla da temere, in ricerche davvero scientificamente rigorose, dal confronto con le altre scuole d'Europa. E' però vero che qualcosa in materia di valutazione occorre fare: ma è necessario che sia fatto DISINTERESSATAMENTE, ONESTAMENTE, SCIENTIFICAMENTE.
Dando per acquisite (seppur non scontate) disinteresse e onestà il problema è quello della particolare scientificità, anche perchè in questo campo una valutazione oggettiva è impossibile (v. opere citate). SE LA VALUTAZIONE DEL PERSONALE SCOLASTICO NON HA ADEGUATA STRUTTURA EPISTEMOLOGICA, LA VALUTAZIONE DIVIENE UNO STRUMENTO DI PURA GESTIONE DEL POTERE. TI VALUTO NON PER QUEL CHE SAI E SAI FARE MA PER L'OBBEDIENZA CHE MI PRESTI.
Se non vi è un modello di valutazione scientificamente fondato (oltre che generalmente condiviso dalla comunità degli studiosi e dei docenti) valutare diviene solo un'arma contro la libertà d'insegnamento e la libertà di pensiero e di espressione. Un mero atto di potere.
Principi del valutare
I presidi più incolti, divenuti ope legis dirigenti e cresciuti nella subcultura del managerialisno, vogliono infatti arrogarsi il potere di valutare i loro ''dipendenti'', dimenticando che un Maestro in quanto tale dipende solo dalla Legge e dalla Scienza. Valutare è nella scuola operazione in cui s'intrecciano questioni epistemologiche, etiche, politiche, pedagogiche, istituzionali di elevata complessità e difficoltà. Nella reale difficoltà di valutare il personale scolastico dimostrata anche dal fallimento dei progetti SIVADIS 1, 2 e 3, si è sinora adottata la non-valutazione dei docenti e un tipo di valutazione e di progressione di carriera di dirigenti tecnici, amministrativi e scolastici incentrata principalmente sul grado di obbedienza e di affinità politica con i gruppi partici e le reti di interesse al momento più forti.
La valutazione dell'attività docente (anche presidi e ispettori sono prima di tutto insegnanti, seppur con allievi di età diversa) è invece scientificamente pensabile come pratica che verte non tanto sul dato (utile solo per la configurazione degli aspetti marginali dell'attività) ma sui principi e sugli esiti a lungo termine dell'azione; è costruzione di rappresentazioni attraverso una connessione autentica (non artificiosa) tra gli eventi e il modo in cui sono stati vissuti dai vari soggetti del discorso.
Cosa valutare
Essere parte della funzione docente significa, prima che altro, vedere intersoggettivamente, aiutare a capire e operare, comunicare la tradizione e produrre innovazione, insegnare nel rispetto della Persona, della Legge e della Scienza. Questo comporta il disinteresse personale e dunque la pericolosità dell'operare in vista di riconoscimenti personali 'concreti'. La mia tesi è che sia necessaria innanzitutto nella valutazione del lavoro svolto nelle scuole una deontologia ordinata a pure idee di valore, dunque moralmente ed eticamente avvertita e principalmente riferita alla qualità della relazione umana, scientifica e culturale che il personale scolastico sa intrattenere. Intendo infatti quella docente quale 'professione della conoscenza' svolta secondo culturalmente fondate idee di valore.
Per questo la valutazione sarà motivata in prevalenza da istanze culturali, scientifiche, tecniche e pedagogiche non comprimibili in reticoli formali pensati per attività di tipo profondamente diverso. La qualità e quantità del lavoro si possono rappresentare attraverso un processo inobiettivabile di proiezione all'esterno, di dialogo, di confronto tra vari punti di vista; richiedono un'intensa comunicazione con il mondo della ricerca.
Domande da porsi
La maestra A.B , il prof. C.D., Il dirigente tecnico XY , il dirigente scolastico YX, provano ed esprimono benevolenza verso gli alunni, i loro genitori, i colleghi? studiano? pubblicano? sono soggetti attivi della cultura? coltivano ed esprimono il senso dello Stato? sanno dialogare, ma in autonomia, con la cultura locale? operano per la libertà della scienza e dell'insegnamento? agiscono sempre in vista di un fine, o inseguono solo l' effetto o un singolo obiettivo? difendono i più deboli? si preoccupano di ben figurare o di essere utili secondo le ragioni di fondo dell'essere-in-educazione?
La valutazione del personale scolastico è infatti attività -quasi mai tassonomizzabile- di rappresentazione di quanto fra i docenti, gli ispettori, i DS e il mondo della scuola e della ricerca si pensa, si opera, si crea.
La valutazione allora è attività che verte non tanto sul dato obiettivabile (utile solo per la configurazione degli aspetti marginali) ma sulle fondazioni, sugli esiti e sulle risonanze degli stessi.
Per cominciare, una modesta proposta
Avanzo una proposta non originale (era una buona pratica seguita fino a una ventina di anni fa) per iniziare una valutazione che premi quei docenti e quei dirigenti che dimostrino una risposta positiva alle domande di cui sopra: una riedizione dell'antico ''concorso per merito distinto''. Una proposta che mi sembra molto utile anche per avviare a soluzione anche il problema della formazione in servizio: oggi si aggiorna solo chi vuole e alcuni, anche se non molti, abbandonano per sempre i libri e gli alunni senza alcuna conseguenza. Si tratta di bandire triennalmente un concorso per consentire a chi occupa un 20% dei posti a tempo indeterminato di avere un aumento di stipendio del 10%: il concorso sarebbe basato su analisi delle pubblicazioni, una prova scritta (non a quiz, per carità!), e un esame orale in cui venga discussa con una commissione l'azione scolastica dei candidati.
Non si può infatti lasciare al solo dirigente scolastico la valutazione dei docenti nè al solo dirigente generale la valutazione dei dirigenti: verrebbero favoriti il clientelismo e altri fenomeni ancor più gravi. Nè si può continuare a trattare allo stesso modo livelli di capacità e di impegno molto differenti.
Per la vera e propria patologia possono poi essere riattivati meccanismi già previsti per legge ma caduti in disuso, come le verifiche ispettive non solo per incarico disposto ma ''motu proprio''.
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* Gabriele Boselli, consigliere CNPI
Un'impostazione scientifica dell' argomento può essere ritrovata in:
AAVV ''Oltre la valutazione'' Armando, Roma, 1999
AAVV ''La valutazione possibile'', La Nuova Italia, Firenze, 1999
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