Bernhard Bueb, Elogio della disciplina, Rizzoli, 2007

Il pedagogo tedesco Bernhard Bueb rovescia i luoghi comuni educativi.
«Ci ha rovinati Hitler. E il Sessantotto»


25 Giugno 2007 | di Taino Danilo

Bernhard Bueb, Elogio della disciplina, Rizzoli, 2007 Quando gli storici faranno i conti, le generazioni che hanno guidato le società europee - soprattutto dagli anni Settanta in poi - avranno parecchio di che arrossire. Non solo la perdita dell' ottimismo; nemmeno solo il pianeta surriscaldato; o il carico insostenibile delle pensioni future. Ai giovani, ai ragazzi, si è negato e si continua a negare anche «il diritto alla disciplina», dice Bernhard Bueb, filosofo, teologo, pedagogo. Lui ne sa qualcosa: è stato per trent' anni, dal 1974, rettore del collegio privato più famoso della Germania, la Schule Schloss Salem, al confine con la Svizzera; ed è un tedesco del 1938, cioè si porta dentro le ferite degli opposti estremismi che sull' albero della disciplina sono germogliati al loro peggio nel Vecchio Continente. Bueb ha aperto un dibattito serio, in Germania, con un libro che mette in discussione l' intero impianto pedagogico tedesco del dopoguerra. E lo stesso dovrebbe succedere in Italia ora che il testo - Elogio della disciplina, Rizzoli - è andato in libreria proprio mentre la scuola di massa mostra i segni di quello che è forse il suo momento peggiore: violenze, bullismo, squilli di cellulari, genitori interventisti oltre il segno, insegnanti in fuga, dalle responsabilità quando non fisicamente. È il crollo - sostiene il professore tedesco - di un sistema fondato sull' idea sbagliatissima che della disciplina un giovane può fare a meno, che la disciplina, anzi, è reazionaria e in qualche modo limita la mitizzata creatività del pargolo. Storie, sia che lo sostenga un insegnante sia - attenzione - che lo sostenga un genitore: perchè su queste cose non ce la si cava dando la colpa a scuola e a società, su queste cose si deve riflettere e cambiare cominciando dalla famiglia. Herr Bueb sa bene che in Germania la disciplina è come la corda in casa dell' impiccato. Anzi, dice che il problema nasce proprio da lì. «In Germania - scrive - il nazionalsocialismo ha minato le fondamenta stesse della cultura dell' educazione. I valori e le virtù che costituiscono il cuore della pedagogia patiscono ancora le conseguenze dell' uso improprio che ne fece il nazionalsocialismo: anche la variante tedesca della rivolta giovanile post-sessantotto non è stata altro che una conseguenza della catastrofe in cui il Paese era precipitato». Dopo gli anni bui in cui la disciplina era stata drammaticamente ridotta a passo dell' oca, il corno è stato spostato, come spesso accade quando si reagisce, eccessivamente dall' altra parte. Qualcosa che è successo anche in Italia, dopo la caduta del fascismo? Probabilmente sì, adattato alle differenze che il termine disciplina ha nelle culture dei due Paesi. Per apprezzare il saggio di Bueb, fondato su un' esperienza pedagogica lunghissima, non su teorie, è necessario cancellare molti pregiudizi. E forse è più semplice farlo sapendo che la sua denuncia del fallimento educativo degli ultimi decenni non è mossa da sadismo o da rigidità ideologiche: anzi, l' umorismo, la ricerca da parte del pedagogo della specificità individuale di ogni singolo giovane, la sua disponibilità incondizionata sono caratteristiche che Bueb ritiene indispensabili. Come la necessità di avere tempo per i figli: cosa che molti genitori credono di poter sostituire con un allentamento delle regole (fondamentali nell' educazione) che certe volte arriva ad annullarle. I due estremi della metodica pedagogica sono «guidare i giovani o lasciarli crescere da soli»: bene, dice il professore tedesco, «chi vuole trovare la giusta via di mezzo tra gli estremi opposti dell' educazione dovrebbe prima valutare il proprio rapporto con il tempo, e dovrebbe registrare tra i profitti personali il tempo che trascorre con i figli». Stabilito che parlare di disciplina non è un tentativo di aggressione a dei poveri ragazzi ma prima di tutto un carico che gli adulti si devono prendere sulle spalle - molto più comodo lasciar fare ai bimbi quel che vogliono sin da piccoli -, Bueb può forse essere letto in modo non ideologico. E si scopre, per esempio, che dietro al rifiuto di concetti come «autorità» e «obbedienza» - «che hanno perduto il loro ovvio valore anche tra i borghesi conservatori» - sta in realtà il fallimento dei genitori e degli insegnanti che dietro quei concetti vedono - per limiti loro - solo un fatto di potere e non l' autorevolezza. O che un' educazione senza castighi e punizioni non funziona. Libro serio, insomma, che solleva problemi veri. Per chi ha figli da crescere e studenti da educare. Se poi lo leggeranno anche quei politici che si rendono conto che gli opposti «eccessi educativi» del Novecento hanno fallito, meglio. Il libro: Bernhard Bueb, «Elogio della disciplina», traduzione di Monica Bottini, Rizzoli, pagine 156, 12,50 * * * L' autore Bernhard Bueb (nella foto) è nato nel 1938 e ha studiato filosofia, teologia cattolica, pedagogia. Per trent' anni, dal 1974 al 2005, Bueb è stato rettore del collegio privato più famoso della Germania, la Schule Schloss Salem, sul lago di Costanza, fondata nel 1920 dal Principe Max von Baden e da Kurt Hahn.

(25 giugno, 2007, Corriere della Sera)

___________________
Contenuto
Constatato il fallimento dei metodi educativi antiautoritari e libertari che hanno caratterizzato la pedagogia dopo il Sessantotto, il filosofo Bernhard Bueb - per trent'anni direttore di un prestigioso collegio tedesco - afferma con forza che è giunta l'ora di riscoprire una virtù dimenticata e di ritrovare il coraggio della severità. Attingendo alla sua esperienza di educatore e di padre, in questo saggio che in Germania è già un caso editoriale, Bueb offre un contributo originale e provocatorio all'acceso dibattito che oggi, anche in Italia, investe i temi dell'educazione e della scuola. La libertà non è solo indipendenza, nè arbitrio: genitori e insegnanti devono ricercare un equilibrio fra intransigenza e amore, giustizia e bontà, controllo e fiducia. La vera autorità non incute paura, ma anzi genera sicurezza: è la mancanza di punti fermi, piuttosto, a rendere gli adolescenti di oggi disorientati e insicuri. Solo così i nostri figli sapranno conoscere se stessi e il mondo, vivere con pienezza le loro esistenze ed essere felici.



Condividi questo articolo: