Istruzione democratica alle corde?

L'alternativa alla ''formazione per il profitto'' in un libro di Martha Nussbaum, Non per profitto. Perchè le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica (il Mulino)


26 Settembre 2011 | di Stefano Borgarelli

Istruzione democratica alle corde? Billy Tucker ha studiato in un college per studi aziendali nel Massachusetts. Gli hanno chiesto di frequentare anche filosofia e altri corsi umanistici. La sua docente era Krishna Mallick, un'americana originaria di Calcutta fautrice della pedagogia di Rabindranath Tagore. Billy non aveva mai pensato di riuscire bene in qualcosa di astratto e intellettuale, ma ha ottenuto buoni risultati nella logica formale ed è rimasto affascinato da Socrate. Nell'ultima parte del corso s'è trovato impegnato in discussioni sull'attualità. E' rimasto sorpreso d'aver dovuto argomentare contro la pena di morte, proprio lui, favorevole a essa. All'aspirante manager Billy Tucker, ''questa esperienza [...] insegnò un nuovo modo di porsi nella discussione politica: [...] si sentiva più incline a rispettare la posizione contraria e a cercare di capire gli argomenti di entrambe le parti''.

Nel suo ultimo lavoro, Non per profitto. Perchè le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica (il Mulino, pp. 168, € 14) - ''una denuncia, e non uno studio empirico'' (p. 135) - Martha Nussbaum, che insegna Law and Ethics all'Università di Chicago, sembra seguire la regola del giornalismo per cui le idee si raccontano con i fatti, e i fatti con le persone. La testimonianza di Tucker si legge nel capitolo centrale del volume (il quarto), dedicato alla pedagogia socratica e occupato da una digressione storica, che muove dall'Emilio di Rousseau per approdare ai socratismi di Dewey nella tradizione occidentale, di Tagore in quella orientale (la Nussbaum ha condotto la sua recente ricerca sulla formazione in India, dove ha collaborato con il nobel Amartya Sen). Tale digressione conferma ''la vitalità di una tradizione che utilizza i valori socratici per produrre un certo tipo di cittadino: attivo, critico, curioso, capace di resistere alla pressione dell'autorità e dei pari.'' (p. 88). L'insegnamento antiautoritario è vitale per studenti come Tucker, che privi di contrappesi rischierebbero un addestramento strisciante alla passività, esiziale anche per l'economia: ''I principali formatori aziendali con i quali ho parlato negli Stati Uniti sostengono che alcuni dei nostri peggiori disastri [il fallimento del programma spaziale Nasa e quello della Enron, ndr] siano da imputare alla cultura degli yes-people, al trionfo dell'acquiescenza verso l'autorità e la pressione dei pari [...]'' (p. 70).

L'autrice propone un nesso tra educazione socratica, imperniata sulle materie umanistiche, e possibilità di sopravvivenza dei sistemi democratici nel mondo. La crisi mondiale dell'istruzione ''che lavora in silenzio, come un cancro'', dipenderebbe da politiche scolastiche sempre più diffuse nelle nazioni attratte dall'idea del profitto, che ''stanno accantonando, in maniera del tutto scriteriata, quei saperi che sono indispensabili a mantenere viva la democrazia.'' (p. 21). Al primo nesso indicato se ne contrappone un secondo, che affermandosi nei fatti secondo la diagnosi della Nussbaum, rischia di confinare la praticabilità del primo nel terreno dell'utopia. Ormai da decenni, lo standard impiegato in tutto il mondo dagli economisti per indicare il ''successo nazionale'' è l'incremento del Pnl (prodotto nazionale lordo). Secondo tale modello, il progresso s'identifica con la crescita economica. Ne è derivato un paradigma dell'istruzione - ormai ''vecchio'', ma per nulla superato, anzi - che l'autrice chiama ''formazione per il profitto'', o (in termini più generali) ''formazione per la crescita economica'' (p. 29).

Nonostante la scarsa correlazione tra crescita economica e conquiste nella sanità e nell'istruzione, paesi come l'India - che pure risente dell'influsso della pedagogia umanistica di Tagore - sono prossimi ad adottare un modello d'istruzione meramente finalizzato alla crescita economica. Le materie umanistiche sono tagliate (o snaturate) nei paesi europei governati dai fautori dell'approccio economicista. In Inghilterra, il parametro per l'assegnazione di fondi alle ricerche universitarie anche in ambito umanistico, si indica con impact (in senso economico), vocabolo impiegato dai governi laburisti e conservatori indistintamente. Negli Stati Uniti invece, non s'è affermato (per ora) il paradigma della formazione per il profitto. Nell'università di Chicago - dove insegnala Nussbaum - queste discipline attirano ancora il contributo di generosi benefattori, ''i ricchi ricordano con piacere l'epoca in cui leggevano i libri che amavano e si impegnavano in discussioni senza fine.'' (p. 136). Ma la crisi economica induce molte università a drastici tagli, e ''si tende a vedere le materie umanistiche come non essenziali'' (p. 137). Drew Faust, rettrice di Harvard, si è chiesta: ''Il modello del mercato è ormai diventato il parametro fondamentale che definisce l'istruzione superiore?'' (p. 137). A dispetto della sua formazione, il presidente Obama - che ha frequentato l'Occidental, eccellente college di materie umanistiche, ela Colombia University, con ricchi programmi umanistici di primo livello - ha menzionato una volta sola l'importanza del pensiero critico nel suo lungo ''Discorso sull'istruzione'' del2009. Ha elogiato ''in termini inquietanti'' paesi dell'Estremo Oriente come Singapore. Una risposta implicitamente affermativa alla domanda accorata della rettrice di Harvard: ''Stanno investendo meno tempo a insegnare cose che non servono, - ha detto Obama - e più tempo a insegnare cose che servono.'' (cit. a p. 150). Una Nussbaum francamente delusa chiosa come sia ''difficile non giungere alla conclusione che le «cose che non servono» comprendano proprio le cose che questo libro difende come essenziali per la salute della democrazia.'' (p. 150).

Come l'autrice stessa avverte, l'impianto del libro è più pamphlettistico che saggistico. I concretissimi esempi circa le politiche scolastiche che mettono ''alle corde l'istruzione democratica'', nelle superpotenze in declino come in quelle emergenti, ne sono il punto di forza e danno vigore alla vibrata denuncia della Nussbaum. Meno risolto appare invece il piano saggistico. Passate in rassegna nel quarto capitolo, le pratiche pedagogiche derivate da Dewey risultano nel loro insieme note al lettore occidentale, che avrebbe beneficiato di maggiori dettagli su quelle ispirate a Tagore (più familiare quale autore letterario). La questione della formazione a una cittadinanza democratica occupa due capitoli, non contigui ma strettamente collegati. Mentre il quinto (''Cittadini del mondo'') cerca di delineare il poliedro delle nuove conoscenze necessarie a scongiurare lo ''scontro di civiltà'' (geografia, storia mondiale, religioni comparate, cultural studies ecc.), per favorire inclusione e uguaglianza, il terzo muove dalla struttura psicologica latente dello scontro di ''civiltà interiore'' (p. 47), originato dal disgusto e dalla vergogna per le proprie deiezioni corporee, con l'ambizione eccessiva nei limiti d'un breve capitolo, di ''cominciare da una rappresentazione [...] chiara e condivisibile dell'infanzia umana'' (p. 47). Fa spazio alla psicologia del profondo anche il capitolo sesto (''Coltivare l'immaginazione: la letteratura e le arti''), con belle pagine dedicate allo psicanalista Donald Winnicott (1896-1971) per riaffermare il nesso tra gioco, arte ed empatia, necessari allo sviluppo della cittadinanza democratica.

Quanto il pensiero critico suggerito a Billy Tucker valgono le arti, e per difenderle la Nussbaumsembra disposta a un patto col diavolo, senza avvertirne la contraddizione: ''[...] sono essenziali per l'obiettivo [...] di una sana cultura aziendale. I più importanti formatori aziendali hanno capito [...] che una buona capacità di immaginazione è un pilastro di una cultura degli affari veramente prospera.'' (p. 126). Cultura aziendale, degli affari. Avremmo preferito un profilo dis-interessato della cultura umanistica, rivendicata in quanto alternativa al paradigma egemone, espressione ideologica d'un modo specifico di produzione della ricchezza che, a sua volta, non dovrebbe potersi troppo facilmente sottrarre al j'accuse di questo denso pamphlet.



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