Regolazione normativa e Governance per l'Istruzione

L'intervento integrale di Sergio Auriemma al convegno del 5 ottobre in occasione della Giornata mondiale dell'insegnante


04 Novembre 2012 | di Sergio Auriemma

Regolazione normativa e  Governance  per l'Istruzione  
Affinché il tema da analizzare possa essere sviluppato entro tempi contenuti è indispensabile focalizzare, e condividerlo con voi che ascoltate, un possibile significato da attribuire al termine “Governance”.
Alcuni autori si sono cimentati nel tradurre il vocabolo dall’etimo francese, individuandolo nella parola “buon-governo” o “governanza”, senza però ottenere successi universalmente condivisi.
Variegate e più complesse sono le locuzioni definitorie offerte da studi scientifici e da numerosi documenti, italiani e stranieri.
Conviene, allora, metterci in sintonia sul fatto che adopereremo oggi il vocabolo riferendolo a processi decisionali coordinati, interattivi e necessari per lo svolgimento dell’azione pubblica dentro un Sistema complesso, a più attori istituzionali.
Le riflessioni scientifiche più serie ed attendibili, anche internazionali, al di là della definizione, suggeriscono i percorsi irrinunciabili per conseguire un effettivo rafforzamento della governance dell’azione pubblica.
A detto scopo, comunemente si afferma che occorre :
1. assicurare una stabilità normativo-regolativa
2. praticare chiarezza nella suddivisione dei compiti istituzionali
3. dare netta prevalenza al “come agire”, piuttosto che al “chi agisce”
4.individuare precisi “obiettivi” unificanti , non generici e indistinti
5. allestire idonei meccanismi di vigilanza e di controllo (quindi anche valutativi)
6. effettuare scelte di finanza pubblica “sostenibili” (l’aggettivo implica certamente il rigore, ma anche equità e sviluppo)
7. scongiurare la frammentarietà (o meglio, la non coerenza tra di loro e, se preferite, la contraddittorietà) delle misure normative di volta in volta adottate.
 
Sulla tematica, per noi, aleggia un interrogativo supplementare: siamo in condizione di dire se sinora sono state intraprese misure realmente volte a similare rafforzamento della governance per l’Istruzione? Nel cercare una risposta alla domanda tocca soffermarmi, come da programma e senza invadere il terreno che sarà da altri arato, sulla regolazione normativa che fa da cornice al tutto.
 
Gli esperti correlatori analizzeranno i profili della governance con riferimento alla “autonomia delle scuole”, alla “dimensione europea”, alle varie implicazioni relative all’esercizio della “professionalità docente” nella garanzia della libertà dell’insegnamento.
Ritengo, perciò, mi restino da svolgere considerazioni sul riparto costituzionale-territoriale, sui meccanismi e percorsi di governance attualmente previsti per il Sistema Nazionale dell’Istruzione e della Formazione.
 
Inizio con l’osservare che oggi 5 ottobre 2012 è oltremodo difficile fare uno showdown tecnico-giuridico sugli assetti strutturali e procedurali che connotano l’esercizio delle competenze legislative ed amministrative nell’ambito del rapporto tra lo Stato e le Regioni.
Abbiamo di fronte due coincidenze eccezionali: l’una, la prospetta il lavoro parlamentare in corso da alcuni mesi intorno ad una nuova revisione della Costituzione; l’altra ci è imposta da un’incalzante cronaca di attualità.
 
Circa il lavoro parlamentare, per la parte che ci interessa si sta discutendo:
- di ritocchi più o meno estesi da apportare al catalogo delle materie di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 117 Cost.
- del passaggio dal bicameralismo paritario ad un bicameralismo differenziato, che dia spazi di rappresentanza alle Autonomie territoriali
- dell’inserimento in Costituzione di una cosiddetta “clausola di supremazia”, presente in varia forma in tutti gli ordinamenti costituzionali federati, per esempio prevedendo che il legislatore statale, nel rispetto dei prıncipi di leale collaborazione e di sussidiarietà, possa adottare i provvedimenti che si rendono necessari per assicurare la garanzia dei diritti costituzionali e la tutela dell’unità giuridica ed economica della Repubblica.
 
Nel contempo, dapprima con il D.L. n. 201/2011 e poi con l’art. 17 del D.L. n. 95/2012 è stato avviato un riordino delle province (e relative competenze) che sta facendo discutere anche i costituzionalisti.
Se passiamo a leggere la cronaca, le vicende in rilievo sono sotto gli occhi di tutti.
Fermandoci a considerazioni di larga massima su quanto sta accadendo, occorre riconoscere, come ha dichiarato alla stampa un Procuratore della Corte dei conti, che si è fatto largo il sospetto sul fatto che l'organizzazione regionale italiana “...sembra andare alla deriva, con gravi sperperi di denaro pubblico...”.
Nella prolusione al Consiglio permanente della Conferenza Episcopale Italiana è stato affermato che “...il sospirato decentramento dello Stato in non pochi casi coincide con una zavorra inaccettabile....”
Con non minore preoccupazione, ho la sensazione che ci stiamo progressivamente accorgendo come dal 2001 ad oggi abbia funzionato un regionalismo - federalismo tutto italiano, troppo spesso mostratosi essere congegno strutturalmente incline a non avversare con efficacia la dissipazione delle risorse collettive.
 
Il Presidente della Repubblica pochi giorni fa, durante la cerimonia di inaugurazione dell’anno scolastico, ha affermato che “...nel disprezzo per la legalità si moltiplicano malversazioni e fenomeni di corruzione inimmaginabili, vergognosi".
A quelle fustiganti parole si può aggiungere, forse, che la moltiplicazione dei fenomeni vergognosi avviene anche quando troppo debolmente si contrasta il disprezzo per la cultura, per lo studio, per la funzione formativa ed educativa in cui si impegnano tanti docenti.
Sarebbe poco produttivo, però, limitarsi a constatare le gravissime patologie senza adoperarsi nel ragionare intorno a qualche possibile via di uscita.
Sarebbe anche generalizzante ed ingeneroso ignorare alcune realtà italiane virtuose, pur se in quei casi occorre notare che all’emersione delle virtù sembra avere contribuito la buona volontà e la coscienza di singole persone, piuttosto che il congegno nel suo ordinario funzionamento.
Infine, in queste ore è in atto un’ipotesi di decretazione d’urgenza sui “costi della politica” regionale e delle Autonomie: quindi non ci è concesso di incentrare l’analisi su misure di normazione al momento annunciate, ma non ancora entrate in vigore.
 
Tutto ciò tenendo fermo, penso sia possibile riflettere, prima di tutto, su di una circostanza manifestatasi all’attenzione di tutti.
Chiunque abbia letto o comunque preso consapevolezza anche solo parziale della giurisprudenza dalla Corte costituzionale dal 2001 ad oggi, senza appagarsi di valutazioni personali ed autoreferenti, si sarà accorto che il Giudice costituzionale, a fronte del novellato Titolo V della Costituzione, attraverso numerosissime sentenze ha svolto una difficile, intelligente ed encomiabile opera di ritessitura.
Il testo costituzionale novellato appariva tessuto incompleto e, in qualche parte, anche grossolanamente allestito.
La Corte costituzionale lo ha dovuto letteralmente “rammendare” in più punti.
Orbene, penso sia ormai il tempo di non lasciare ai soli Giudici delle leggi questa delicata attività di arbitraggio che, nel 2004, fu significativamente indicata come “...non richiesta e non gradita”.
Le Magistrature, abituate per loro mestiere alle naturali complessità del diritto, sicuramente sanno affrontare anche compiti difficoltosi dal punto di vista tecnico.
Non sembra giusto però che il Paese - come si osserva da più parti, senza talvolta coglierne le vere e più profonde ragioni – faccia affidamento nella “supplenza dei giudici”, mentre dovrebbe saper trovare in tutte le altre componenti vitali la forza di ricercare e di praticare attivamente soluzioni preventive da dare ai problemi della cittadinanza e della convivenza civile.
Se spostiamo lo sguardo dalle leggi alle attività decisionali e amministrative, dobbiamo soffermarci su quella che, per semplicità didascalica, definirei la lunga epopea dei Masterplan.
Negli ultimi anni più volte sono state discusse modalità con cui dare soluzione all’intrecciarsi in una stessa materia di norme generali, principî fondamentali, leggi regionali e determinazioni autonome delle istituzioni scolastiche che connota il comparto dell’Istruzione (come ha rilevato la Corte costituzionale).
L’esistenza di competenze (legislative, ma non solo) tra loro interconnesse e interagenti aveva indotto alle previsioni :
- della legge n. 131/2003, che aveva affidato al Governo il compito di operare la ricognizione e definizione dei principi fondamentali, per settori organici di materie, volti ad orientare l’esercizio delle competenze regionali concorrenti (la norma non è stata attuata)
- della legge n. 244/2007 (finanziaria 2008), che all’art. 2, commi 417/425 aveva previsto la sperimentazione di un “organismo paritetico di coordinamento” a livello regionale (la norma non è stata attuata).
 
Nel frattempo, nell’ambito delle attività riferibili alla Conferenza Unificata (nel 2006, nel 2007 ed infine nel 2010), gli assessori regionali all’istruzione hanno ripetutamente elaborato e revisionato un documento (cd. Masterplan) a loro avviso sufficiente ed adeguato per disciplinare i rapporti tra lo Stato, le Regioni, le autonomie scolastiche.
Anche l’ultimo e più recente documento, assegnato ad un “tavolo tecnico”, ho l’impressione sia per ora rimasto lettera morta, forse in ragione di qualche sua inadeguatezza giuridico-costituzionale (per motivi, ovviamente, tutti da analizzare in punto di diritto).
La situazione di stallo, perdurante da oltre due lustri e che meriterebbe un rivitalizzato e più efficace sforzo di elaborazione, spinge taluni ad avanzare perplessità sulla dicotomia delle competenze (statali e regionali), dividendosi poi ulteriormente in due contrapposte correnti di pensiero circa la preferenza unificatrice da accordare alle competenze dell’un Soggetto istituzionale rispetto all’altro.
 
In realtà, la coesistenza di competenze istituzionali altro non è che l’espressione di un fenomeno ben conosciuto e frequente negli Ordinamenti moderni, che può definirsi del “governo multilivello”.
Il fenomeno è stato scandagliato anche in Italia (dalla Corte costituzionale, oltre che dalla dottrina giuridica) per varie “materie” a legislazione concorrente : si pensi all’energia, all’ambiente, alle opere pubbliche, alle risorse idriche, ecc..
Una strada praticabile entro tempi non troppo dilatati e per la materia Istruzione - in attesa di un’eventuale e futuribile revisione costituzionale, la quale impone un percorso di approvazione politicamente non agevole, da rinviare alla prossima legislatura (quindi definibile non prima del 2014) - potrebbe essere non quella della semplice rispolveratura di un ennesimo documento Masterplan, quanto piuttosto quella:
della valorizzazione dell’uso del modulo organizzativo delle Conferenze di servizio e del meccanismo delle “Intese forti” (che, secondo la giurisprudenza costituzionale, costituiscono “attività concertative e di coordinamento orizzontale”)di una legge ordinaria capace, sulla falsariga di quanto aveva già ipotizzato la legge 131/2003, di costruire l’alveo dei principi fondamentali entro cui articolare l’esercizio delle competenze concorrentidell’introduzione in Ordinamento di meccanismi di controllo o latamente sostitutivi, idonei a superare omissioni regionali, ad esempio attraverso l’avocazione in sussidiarietà di competenze unitariamente esercitabili a livello statale.
 
Si tratta ovviamente di opzioni a forte valenza politico-legislativa, come tali qui solo sommariamente accennabili e riservate a decisioni da assumere nelle sedi opportune e tramite gli strumenti giuridici adatti.
Ricordo - prima di tutto a me stesso - che con la famosissima e pluricommentata sentenza n. 303 del 2003 la Corte costituzionale, nel chiarire il significato della “sussidiarietà verticale”, ha affermato che quando lo impongano esigenze unitarie lo Stato, anche in via derogatoria al riparto delle competenze, può attrarre a sé, in via ascensionale e verso l’alto, funzioni amministrative che esigono anche un corrispondente esercizio di funzioni di regolazione normativa, affinché al principio della sussidiarietà si sposi il principio della adeguatezza nell’esercizio delle funzioni.
In sostanza ed in sintesi, si può dire che occorre conciliare, mettendoli in equilibrio tra di loro, il riparto di competenze secondo la regola della sussidiarietà da un lato e, dall’altro lato, l’effettivo ed efficiente svolgimento delle funzioni e la salda salvaguardia di esigenze unitarie ed eque nel funzionamento dei Sistemi e dei Sottosistemi ordinamentali.
 
La ricerca del punto di equilibrio, da conseguire anche attraverso Intese tra Stato e Regioni, impone però l’esercizio di massima lucidità tecnica, al di fuori di qualsiasi schematismo ideologico.
Ebbene, su questo stretto e scivoloso crinale la lotta ultradecennale e soltanto muscolare tra centralismo e decentramento, tra regolazione normativa statale e rivendicazione di un’autonomia delle scuole senza vincoli non ha fatto sinora maturare buoni frutti.
Essa, probabilmente, ha complicato ed aggravato la situazione, ostacolando la cooperazione tra i livelli istituzionali e territoriali, che è un fattore irrinunciabile per il buon funzionamento del Sistema scolastico.
Tutti coloro che, dopo il varo dell’autonomia scolastica nel 2000, hanno immaginato potersi giuridicamente parlare di tre “poteri” autonomi e separati (intestati allo Stato, alle Regioni ed alle Scuole autonome) hanno in sostanza finito con il trascurare l’importanza del “fine” unitario (Istruzione e sua crescita quantitativa e qualitativa), che non è suddivisibile o polverizzabile.
 
I compiti istituzionali da svolgere “finalisticamente” sono certamente articolati e ripartiti.
Proprio per questa ragione, ne devono essere accuratamente chiariti i contenuti, nel contempo definendo i vincoli ed i limiti dei rispettivi poteri o facoltà e sottolineando fortemente la complementarietà di questi ultimi.
Giorno dopo giorno, la cronaca ci sta svelando i sintomi di un temibile ed irreversibile “collasso” del neoregionalismo italiano.
L’architettura istituzionale-territoriale ha dimostrato di non possedere, al suo interno, congegni idonei a scongiurarne il crollo.
Si tratta, perciò, di una “Costruzione” non riparabile tramite aggiustamenti o temperamenti marginali, ma che necessita di una globale e robustissima manutenzione straordinaria.
 
Personalmente penso che i segni del collasso strutturale non riguardano il decentramento in sé, quale principio consacrato fin dal 1948 nell’articolo 5 della Costituzione Repubblicana.
Piuttosto, l’attuazione pratica del principio, nonché l’architettura che a quel principio è stata conferita a partire dagli anni 2000 hanno mostrato, entrambe, molteplici ed innegabili crepe e cedimenti.
Neppure condivido l’analisi di una parte della dottrina costituzionalistica che attribuisce alla grave e sopraggiunta emergenza congiunturale-economica l’intera colpa delle lacerazioni e dei malfunzionamenti verificatesi nell’attuazione del cammino “federalistico”.
Le difficoltà di funzionamento esistevano ed erano oggettive e serie ben prima delle recenti impennate dello spread.
So bene di non avere intestato alcun titolo legittimante per indicare o scegliere i rimedi.
Posso, invece, soltanto immaginare che l’assenza di rimedi tempestivi ed efficienti finirebbe con il riversare il peso degli scollamenti strutturali sui punti e sui Sottosistemi ordinamentali più deboli e cedevoli.
Tra di essi figura il Sottosistema dell’Istruzione pubblica, per proprio conto “a connessione debole” e già rimasto esposto, nel corso dell’ultimo quindicennio, ad interventi normativi che è arduo sostenere ne abbiano irrobustito le strutture portanti.
Quando nei primi anni Novanta e durante la Conferenza Nazionale sulla scuola fu lanciata l’idea di un patto fra tutte le componenti che agiscono a vario titolo nell’area dell’Istruzione, verosimilmente si immaginava un triangolo di funzioni di Servizio ai cittadini, non un triangolo di “poteri”.
Il “governo” del Sistema doveva incentrarsi nello Stato (che, anche in altre materie costituzionali, assolve un “ruolo di cerniera” diverso e distinto da quello delle altre componenti della Repubblica di cui all’art. 114 Cost.), mentre le funzioni della “programmazione territoriale” e quelle “tecnico-didattiche” in senso proprio dovevano trovare allocazione, rispettivamente, presso le Autonomie territoriali e le Autonomie funzionali scolastiche.
 
Ebbene il quadro attuale, da qualunque parte del triangolo lo si osservi, non corrisponde a quello inizialmente immaginato.
Questo, si badi, non significa che le Scuole non funzionano, perché esse continuano, ogni giorno e pur tra tante difficoltà, ad erogare il Servizio alla cittadinanza.
Ciò che non funziona adeguatamente è il Sistema costituzionale/istituzionale/territoriale dentro cui le stesse operano.
Occorre dunque intervenire, e al più presto, su di esso.
Nel farlo - a mio modo di vedere e al di là di ridefinizioni normative di livello costituzionale (difficoltose entro contesti politici profondamente lacerati) - si potrebbe agire attraverso interventi di legislazione ordinaria.
 
Gli interventi dovrebbero saper affrontare quattro snodi :
- una ricodificazione aggiornata delle leggi sull’Istruzione e Formazione che recuperi la chiarezza delle regole, dopo l’ncessante polverizzazione normativa verificatasi dal 1994 ad oggi
- l’attuazione di quanto aveva già previsto la legge n. 131/2003, con la definizione di principi fondamentali valevoli per le materie a legislazione concorrente;
- l’individuazione, come aveva ipotizzato la legge n. 244/2007, di un livello territoriale utile e di un modello organizzativo che a quel medesimo livello permetta l’interazione operativo-amministrativa tra i due plessi ordinamentali titolari di competenze in materia di istruzione (Stato e Regioni)
la definizione, con legge, di uno stato giuridico di base del personale scolastico.
 
Mi avvio a concludere richiamando la “memoria storica” dei fatti che, auspicabilmente, non dovrebbe andare smarrita.
Fino a qualche tempo fa le massime Autorità istituzionali sostenevano, di frequente, che il cosiddetto federalismo è un “...treno in corsa che non si può fermare”.
Nel settembre dell’anno 2006 il Presidente della Repubblica, nel rivolgere in videoconferenza, dal Quirinale al Workshop Ambrosetti di Cernobbio, un saluto all’allora Prof. Monti, affermava :
....Non è chiuso il capitolo, anche di modifiche della Costituzione repubblicana, dopo che il referendum ha segnato il rigetto dell'ampio progetto di revisione che era stato approvato dal Parlamento nella scorsa legislatura. Il cantiere non si deve considerare chiuso per sempre, e anzi io penso che si possa riaprire, che si debba riaprire, che di fatto si stia riaprendo. Anche questo è un segnale positivo: nelle due Commissioni Affari costituzionali della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, si è avviata una discussione, a cominciare dalla tematica dei poteri decentrati, del federalismo, della revisione del titolo V della Costituzione (o se si vuole della riforma della riforma che di quel titolo V della Costituzione aveva portato avanti la maggioranza di centrosinistra a conclusione della legislatura 1996 - 2001). Anche questa, a mio avviso, è una strada percorribile, ed è una strada da percorrere con il massimo impegno di ricerca della convergenza e dell'intesa.
A distanza di sei anni da quel settembre 2006 ci saremmo augurati, rileggendo il messaggio presidenziale, di poter parlare di una fotografia ingiallita della realtà, finalmente modificatasi.
Purtroppo, il messaggio sembra essere l’immagine ancor più nitida e chiara della realtà odierna, alle prese con la ricerca di soluzioni mai trovate.
 
Giunti a questo punto, pessimismo e sconforto potrebbero prendere il sopravvento.
Per evitarlo, preferisco concludere con uno sprone, un’intensa sollecitazione non ispirata a flebili speranze, né ad ingenuo ottimismo.
La notazione investe tutti noi come cittadini, senza distinzioni od eccezioni, ciascuno per il ruolo che assolve nella società e per la parte che personalmente può compiere.
Essa perciò, per tutto quello che stamane ci ha indotto a riflessioni di studio, si rivolge anche verso gli insegnanti ed il personale scolastico, oltre che verso le loro associazioni professionali e rappresentanze sindacali.
Lo sprone si sostanzia nel dover insistere in una tenace ricerca di soluzioni, possibili a mio parere, sempre che ciascuno previamente rinunci a rinchiudersi in autoreferenzialità valutative (limitate al solo comparto Istruzione) e si convinca che il destino della Scuola ed il destino delle Istituzioni giuridico-ordinamentali della nostra Repubblica sono, tra di loro e per vari aspetti, strettamente legati.
 
Vi ringrazio tutti, per l’ascolto che avete voluto gentilmente prestare al mio intervento.
Roma, 5 ottobre 2012
 
 


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