La governance della scuola in Europa e il caso italiano

Il potere della tecnocrazia e la insipienza delle scelte politiche nel campo della scuola in Italia


27 Dicembre 2012 | di Fabrizio Reberschegg

La governance della scuola in Europa e il caso italiano
Con una lenta e inesorabile costanza la Commissione VII della Camera dei Deputati ha licenziato dopo un iter di quasi tre anni, con un incredibile accordo bipartisan PD-PDL, il testo del progetto di legge unificato 953 (ax Aprea) intitolato ''Norme per l'autogoverno delle istituzioni scolastiche statali''. Il testo deve ora passare alla Commissione in sede deliberante del Senato. I relatori hanno giustificato l'accelerazione pre- elettorale dell'approvazione del provvedimento, che sicuramente non ha caratteristiche di urgenza, ribadendo la necessità di riformare l'organizzazione interna della scuola italiana nella prospettiva della ottimizzazione delle risorse, di una maggiore partecipazione democratica delle varie componenti della scuola e di adeguamento al contesto europeo e alla competizione internazionale. La realtà sembra, però, molto distante dalle analisi e congetture dei nostri politici e dei nostri ''tecnici''. Vediamo il perchè con particolare riferimento al quadro di insieme europeo.

Gli organi collegiali della scuola nella realtà italiana sono già di fatto da anni elementi formali di partecipazione degli attori alla gestione della scuola. Si pensi ad esempio agli attuali Consigli di Istituto presieduti da un genitore, con una significativa componente dei genitori, degli studenti e del personale ATA. In questo senso è stata grave la decisione di smantellare i Consigli Scolastici Provinciali dopo la riforma dell'autonomia scolastica che ha introdotto l'atomizzazione delle istituzioni scolastiche e altrettanto preoccupante la lenta eutanasia del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione che dovrebbe essere sostituito dalla riforma in discussione da un organo pletorico senza oneri per lo Stato (sarà divertente vedere chi va alle riunioni a Roma senza alcun potere, emolumenti o rimborsi spese..). E' sicuramente vero che i livelli di partecipazione ai Consigli di Istituto sono diventati, rispetto alle esperienze negli anni '70, spesso pletorici e rappresentativi di una nettissima minoranza dei genitori, degli studenti e dei docenti, ma il progetto di legge unificato 953, riconoscendo un ruolo sempre più centrale del dirigente scolastico in senso aziendalista, determina un depotenziamento in particolare della componente dei docenti e dell'organo di riferimento, il collegio dei docenti, costretto a seguire gli indirizzi decisi dal consiglio dell'autonomia in cui le componenti esterne (genitori +studenti+ dirigente scolastico) dovrebbero essere maggioritarie. A partire dagli anni '80 in Europa e in parte del mondo occidentale si è fatta strada una ideologia di natura aziendalista e tecnocratica nella gestione dei servizi pubblici, nella quale è stata inserita in modo acritico anche l'istituzione scolastica. Ciò ha portato una parte dei paesi europei ad un rafforzamento della rete dei controlli di gestione e di qualità applicando le teorie toyotiste della customer satisfaction e della sovranità del consumatore, derivate in ultima analisi dalle teorie economiche di stampo neo classico di fine ‘800. Da questo momento troppi si sono sbizzarriti nella creazione di modelli di organizzazione delle istituzioni scolastiche interpretate come enti autonomi in concorrenza tra loro con un controllo esterno gestito o delegato dallo Stato al fine di garantire standard minimi nel sistema generale di istruzione. L'Italia si è distinta, con particolare riferimento ai progetti riforma di Luigi Berlinguer, per l'introduzione di modelli di stampo liberista partendo da una concezione dell'autonomia scolastica spinta. Il progetto Aprea di fatto ne è la logica continuazione.

Ma se si analizza veramente la reale situazione dei modelli scolastici europei appare evidente che non esiste una organizzazione del sistema della formazione e istruzione ideale o al quale conformarsi. Esistono infatti diversi modelli:
- Centralistico (organizzazione definita dall'autorità statale centrale, vedi il caso francese)
- Gestito a livello Federale (Länder, Comunità Autonome, ecc. vedi i casi della Germania e della Spagna)
- Gestito dall'amministrazione regionale (Belgio)
- Gestito dall'amministrazione locale (province, municipalità, contee, in particolare nei paesi del Nord Europa e in parte della Gran Bretagna)
- Gestione di Istituto (modello anglosassone tradizionale con controllo sugli standard minimi).

In Italia si è scelto un modello ambiguo e contraddittorio: da una parte si è dato grande potere alle regioni per rincorrere un federalismo di facciata, dall'altra si è sposato il modello anglosassone organizzato sull'aziendalizzazione e l'autonomia delle singole Istituzioni Scolastiche caratterizzate dalla figura del dirigente/manager. Ricordiamo che in questo momento, essendo saltata tutta la rete gerarchica tradizionale (preside, provveditorati, direzioni regionali, ministero, Ministro, Governo), al di sopra del dirigente scolastico resta solo il Ministro con tutti i problemi non irrilevanti circa il controllo sugli atti e i comportamenti dei dirigenti. La riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, riconoscendo a livello di Carta Suprema l'autonomia scolastica, ha accentuato tale modellizzazione, aprendo una serie indeterminata di conflitti tra i vari attori in scena (scuole, enti locali, regioni, Stato). Per fortuna sembra che il governo attuale sia intenzionato a metter mano ad una sorta di correzione in senso centralistico del Titolo V.

Ma le contraddizioni sono evidenti: il reclutamento del personale, a partire dalla dirigenza scolastica, è sempre (e per fortuna) effettuato a livello centrale con procedure concorsuali definite dalla Legge, i finanziamenti sono nella quasi totalità provenienti dallo Stato o da enti pubblici (vedi enti locali), il sistema dei controlli, che in altri Paesi europei è a capo dell'autorità territoriale statale, federale o locale con organismi definiti per legge o con reti di ispettori (vedi il modello francese), è di fatto mancante o organizzato in maniera bizantina (revisori dei conti, ragioneria dello Stato, Corte dei Conti, MIUR) in modo inefficiente e finalizzato unicamente al contenimento/taglio delle spese correnti o alla semplice legittimazione dei controllori.

Ma, se le differenze nei sistemi educativi tra paese e paese dell'U.E. rimangono evidenti e spesso abissali (si pensi ai Paesi che riconoscono il valore legale del titolo di studio e a quelli che vedono assente il controllo finale e la certificazione dello Stato), la legislazione da parte dell'Unione Europea sta assumendo caratteristiche di invasività tali da costringere ogni sistema ad adeguamenti cui non corrisponde un grado di consapevolezza e di analisi critica sufficienti. Si pensi agli effetti devastanti dei vari modelli OCSE-PISA nel campo dei contenuti della didattica e alla declinazione italiana rappresentata da INVALSI.

Una stretta cerchia di tecnocrati europei della pedagogia e della didattica (sempre più coniugata in docimologia) incombe per definire metodologie, griglie di valutazione, livelli minimi essenziali, curricola ''europei''. Tutto ciò senza alcun controllo democratico da parte dei parlamenti degli Stati membri che spesso sono obbligati ad accettare indicazioni, atti di indirizzo e scelte culturali che possono segnare in maniera indelebile il futuro della formazione e dell'istruzione in Europa. Le famose raccomandazioni del 2006 che definiscono le competenze essenziali dei sistemi di istruzione europei sono l'esempio tipico di tale deriva. Ora tutti sono costretti a valutare e inseguire i livelli di competenza europei accantonando in secondo piano la sfera delle conoscenze e delle capacità. Per fortuna alcuni paesi, come la Germania, sembrano resistere alle derive tecnocratiche difendendo i loro sistemi di istruzione.

L'adeguamento alle scelte della tecnocrazia europea fanno sì che l'autonomia delle istituzioni scolastiche, non solo italiane, diventi semplice parvenza, scatola giuridica vuota. Obiettivi, modalità e metodi di valutazione, organizzazione del tempo e degli spazi, modalità dell'insegnamento sono sempre più eterodiretti e imposti in nome di un nebuloso ''progresso'' e dell'Europa''. Con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

Peccato che i paesi più competitivi a livello mondiale, dalla dittatura della Cina comunista/capitalista, alla democrazia federale indiana, siano distanti anni luce da tali teorizzazioni parapedagogiche. Le competenze si creano partendo da solide conoscenze valorizzando le capacità dei singoli. Certo, i sistemi adottati, con particolare riferimento alla Cina, sono spesso di natura autoritaria e inaccettabile per il nostro mondo occidentale e contrari alla salvaguardia dei diritti così come li abbiamo riconosciuti a partire dalla Rivoluzione Francese. Non sono e saranno il nostro modello ideale, ma non è per noi nemmeno accettabile spingersi verso l' estremo opposto in cui il libero mercato dell'istruzione prevale sulla funzione essenziale dell'istruzione pubblica, cioè quello di dare a tutti parità di opportunità e di creare e difendere la conquista del principio di cittadinanza.

Mentre in Inghilterra si torna finalmente a parlare di valore legale del titolo di studio per contrastare l'abisso in cui si trova la scuola pubblica anglosassone, mentre in Francia, Germania, Spagna,ecc. si sta riflettendo sugli errori che hanno segnato un'era nelle politiche dell'istruzione, il nostro Paese si contraddistingue per inseguire con il rituale ritardo ventennale le ideologie del liberismo più stupido. L'associazione nazionale presidi chiede che siano i dirigenti ad assumere e licenziare i docenti, si parla di meritocrazia a sproposito, si tagliano risorse e fondi alla scuola statale e si riducono anno dopo anno gli organici dei docenti e del personale non docente. Profumo addirittura immagina un aumento dell'orario di lavoro dei docenti senz alcun riconoscimento stipendiale..Tutto ciò mentre si promettono lavagne luminose, tablet in ogni scuola, in ogni classe e per tutti, discenti e docenti.

In questo contesto apparire ''tradizionalisti'' ci sembra una scelta di democrazia e di difesa di libertà, partendo dalla libertà di insegnamento sancita dalla Costituzione. E' quindi essenziale contrastare il progetto di legge Aprea aprendo un dialogo serio e democratico circa il futuro della scuola e delle istituzioni formative in Europa. Un manipolo di tecnocrati, sedicenti economisti, manager, pedagogisti, politici ignoranti e imbelli ci hanno portato ad un preoccupante livello di crisi dei sistemi educativi nel nostro paese e in molti paesi europei e occidentali. La nostra scommessa è far diventare il nostro un Paese normale con una scuola pubblica di Stato che funzioni con una classe docente finalmente motivata e orgogliosa di essere attrice del cambiamento.

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* [Sintesi della relazione tenuta al convegno del 5 ottobre 2012 la '' La Governance della scuola'' (cfr '' Professione docente'', novembre 2012)]



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