La buona scuola che vorremmo

Riflessioni e proposte per il rilancio della scuola pubblica statale.
Giornata mondiale dell'Insegnante, 6 ottobre 2014, Convegno nazionale.


13 Ottobre 2014 | di Stefano Battilana

La buona scuola che vorremmo Come ogni anno la Gilda degli Insegnanti e l'Associazione Docenti Articolo 33 hanno celebrato la Giornata Mondiale dell'Insegnante, istituita dall'Unesco, con un Convegno nazionale dedicato ai temi della scuola.
Il convegno, organizzato in collaborazione con il Centro Studi nazionale della Gilda e svoltosi a Roma il 6 ottobre 2014, aveva come titolo: ''La buonascuola che vorremmo. Riflessioni e proposte per il rilancio della scuola pubblica statale''.

Ecco la sintesi degli interventi dei relatori, tenutisi davanti a un folto pubblico, che ha seguito con interesse e vivace partecipazione le relazioni, dibattendo con passione i temi proposti.

Adolfo Scotto Di Luzio,
docente di Storia delle istituzioni scolastiche ed educative dell'Università di Bergamo, ha presentato la relazione: ''La scuola che vorrei''.
Il focus è stato incentrato sul ruolo dell'insegnante, che non può essere ridotto a semplice ''educatore'' o ''mediatore di cultura'', ma deve riprendere il ruolo tradizionale di colui che trasmette cultura, avendone le adeguate competenze disciplinari.
Ecco un sunto del suo corposo intervento.
L'imperativo ''scuola-società'' è un imperativo ideologico, un ricatto. Le forze esterne (forze uniformanti, che si muovono al di fuori della scuola) sono permeate nella scuola perchè è stata sgretolata la frontiera della cultura umanistica.
I docenti non devono ''produrre dei lavoratori'', ma educare persone, che saranno anche dei lavoratori; infatti le persone esisteranno indipendentemente dalla funzione che svolgeranno. Una persona si costruisce curando l'edificazione della sfera soggettiva. Letteratura, storia, filosofia, permettono di tradurre gli oscuri significati che si agitano nell'anima e nel mondo; consentono di tradurre le parole confuse che si agitano in noi. È questa la storia eterna dell'individuo. L'uomo resta immutato antropologicamente, avvengono grandi trasformazioni sociali, che però non intaccano la natura umana.
I bisogni fondamentali dell'individuo richiedono un linguaggio articolato. Le persone a scuola devono imparare ad esprimersi. La scuola è un diaframma fra la persona e le cose, per evitare che le cose esterne rovinino la persona.
Intaccare il sapere umanistico porta alla formazione di persone ''conformate'' ad una società conformista. Si può essere liberali senza stendersi di fronte all'idolo ideologico del liberalismo.
La scuola non deve essere permeabile dalla società, deve rifiutare il ''nuovo spazio denazionalizzato'', globalizzato e insapore come la cucina internazionale.
Il documento ''La buonascuola'' di Renzi contiene elementi pericolosi e nel contempo propone uno scambio al quale non possiamo resistere: l'assunzione di massa di precari contro la revisione dello statuto (stato giuridico) dell'insegnante. 150000 assunti in un colpo solo, ma a patto di cambiare la nostra identità. Il terreno è l'indebolimento della figura del docente, si verrà impiegati in uno spazio generico in cui conta ciò che siamo disposti a fare (la ''disponibilità'' come nuova categoria della valutazione della carriera) e non ciò che sappiamo.
L'idea che ha costruito il prestigio dell'insegnate viene sradicata dal terreno del docente italiano. Questo progetto non è stato inventato da Renzi, risale a molto tempo fa ed è stato tenuto a bada fino a quando le culture politiche prevalenti erano di natura gentiliana; gli allievi di Gentile erano nel PCI.
Le idee non si vivono in un ''cielo platonico'' di astrazione, ma sono portate dalle persone. Quando queste persone non ci sono più, le idee cambiano. I docenti di nuova generazione sono anche portatori di una nuova idea che destruttura il sistema formativo.
La scuola si ricostituisce ad un livello più basso, perchè rispecchia lo stato culturale del Paese. La scuola deve pretendere di essere valutata sulla base di un merito culturale effettivo.
Il documento di Renzi è ispirato dal principio della scarsità: in una società in cui le risorse sono scarse bisogna costruire gerarchie di priorità sulla base di differenze rilevanti. Questo principio non è solo ispirato da necessità di contenimento del bilancio, ma corrisponde a un principio di filosofia politica, potremmo dire quasi hobbesiano (infatti la differenziazione degli scatti di competenza fra il 66 e il 34 % di docenti in ogni scuola non potrà che scatenare un bellum omnium contra ommnes).
D'altro canto non si può rifiutare tout court che possa esistere una differenziazione fra gli insegnanti, essendovi fra loro delle differenze. Bisogna definire in modo chiaro cosa si intende per merito.
Come si difende un insegnante? Esigendo che i livelli di preparazione siano elevati. All'università molti studenti, per scarsa preparazione scolastica e scarsa motivazione personale, non comprendono la lingua del professore, non ne colgono le inferenze e le sfumature. Si pone anche il problema della formazione delle èlites, che ormai non è più nazionale (da decenni ormai non passa più dai licei classici e scientifici) ma denazionalizzata, fatta in genere dalla cultura anglosassone, con master overseas e Joint degrees.
È stata privatizzata anche la scuola pubblica: i genitori ricchi ''comprano'' il dirigente scolastico. Il quale sviluppa capacità negoziali all'altezza del pubblico che deve servire. La scuola, dunque, non è uguale per tutti e dipende molto dalla condizione familiare; il livello della scuola è basso, solo chi può fa di più.
Renzi dice che la questione scolastica è strettamente collegata al ricollocamento dell'Italia a livello internazionale, questo è un dato molto importante, ma l'unico modo auspicabile secondo il documento è applicare la tecnologia ai beni culturali. Si pensa ad una scuola tecnica e professionale per l'impiegabilità di massa. Per guidare un Paese, bisogna avere un'immagine culturale di questo Paese, custodire la sua tradizione intellettuale. Se non si fa ciò, non si forma un'èlite internazionale.
È fondamentale la qualificazione culturale del sentimento dell'essere italiani. I saperi umanistici sono saperi pubblici, sono saperi politici, che permettono di sviluppare una visione generale delle cose. Non ci si salva con la tecnologia, non ci si salva addestrandoli a fare i barman ma ricostruendo la soggettività dei giovani. Faranno meglio qualsiasi lavoro se avranno una formazione culturale adeguata.
Infine, possiamo dire che il sindacalismo scolastico tradizionale è stato un suicidio pubblico per l'insegnante italiano.

Giorgio Israel,
membro dell'Acadèmie Internationale d'Histoire des Sciences e già professore dell'università 'La Sapienza' di Roma, ha presentato la relazione: ''I docenti tra formazione e scatti di competenza''.
Pur ritenendo necessario, anche il Prof. Israel, un certo ritorno alla tradizione, lui stesso non si reputa affatto un ''laudator temporis acti''. Anzi, lo infastidisce che certi vecchiumi vengano presentati come grandi innovazioni. Personaggi che hanno condizionato tantissimo lo sviluppo della scuola italiana negli ultimi 25 anni, poco tempo prima dicevano che bisognava rifarsi al pensiero di Gramsci e ora dicono il contrario, secondo i dettami di Confindustria: via il latino, bisogna cacciare via senza pietà gli insegnamenti gentiliani.
Vogliono fare della scuola un centro, gratuito, di formazione di quadri d'impresa. La scuola sta diventando un laboratorio, secondo i dettami europei del cosiddetto Accordo di Bologna del 1999. Cita, leggendone un brano, il libro dello psicoanalista Massimo Recalcati ''L'ora di lezione''.
La scuola media è nel mirino per i risultati degli studenti, ma i problemi più gravi sono nella scuola elementare, secondo Israel: la scuola che potremmo definire ''del finito'', che ha bandito dalla matematica e dalla riflessione il concetto di infinito.
Stiamo abbassando sempre di più il livello. Siamo responsabili di offrire una scuola che fa sempre meno, basata sulla standardizzazione, sull'idea che è bene non studiare troppo.
E invece bisogna studiare di più e ridare forza all'approccio disciplinare. Un Paese non può fare a meno di cultura classica e scientifica. Ci può anche essere chi studia meno, ma deve anche esserci la scienza avanzata e la scienza teorica.
La scuola non può essere un surrogato di tutto, non va bene l'insegnante psicologo, l'insegnante deve insegnare, con passione certo. Bisogna ridare spazio all'aspetto disciplinare, formare le persone attraverso la conoscenza come strumento di libertà: se so di più, posso prendere decisioni più consapevoli. La scuola deve fornire strumenti di carattere critico. No alla scuola ospedale (vedi eccessivo abuso di DSA, 15-20% e l'esistenza molto dubbia della discalculia).
Continuando la citazione di Recalcati, dice: ''Solo quando uscendo dall'aula ti rendi conto di aver scoperto qualcosa che non sapevi prima, è stata un'ora di lezione''. La vera cultura non è fatta di risposte preconfezionate, ma di problemi aperti. Ci sono problemi che non hanno una definitiva risposta, per questo lo studente si appassiona.
Quale deve essere l'obiettivo? Il miglioramento crescente della qualità degli insegnanti, riconoscendo che non tutti siamo uguali (solo una mente totalitaria potrebbe immaginarlo) e che quindi ci saranno insegnanti migliori e insegnanti peggiori.
Il problema della valutazione dovrebbe risolversi attraverso un confronto culturale fra docenti in modo tale che i peggiori siano costretti a migliorarsi. Standardizzare gli insegnanti e usare l'Invalsi come strumento di valutazione è un'idea folle.
Il sistema proposto dalla buona scuola premia insegnanti che fanno attività extra. Il rischio è che venga premiato l'insegnante che organizza i corsi di cucito e non quello che segue i corsi di aggiornamento presso le università. A decidere sarebbe il dirigente scolastico insieme ai suoi discepoli (materia per traffici ''mafiosi''). Bisogna guardare ai modelli esteri e ai difetti di questi modelli, ipotizzando un sistema di controlli incrociati fra le scuole, tenendo presente che l'intero sistema OCSE-PISA è stato attaccato da più parti ed ha difetti evidenti. Se non ci sono soldi, meglio non fare nulla piuttosto che fare cose profondamente sbagliate. Adesso bisogna promuovere una battaglia culturale per riqualificare la scuola prima che la barca affondi definitivamente, il che è prossimo a venire.

Fabrizio Reberschegg,
presidente dell'Associazione Docenti Art.33, ha posto in evidenza le criticità dell'autonomia scolastica e ha criticato il cosiddetto successo scolastico garantito, che rischia di diventare un grimaldello per abbassare il livello della qualità dell'istruzione. Ha infine ricordato che la Gilda sta portando avanti sul sito nazionale un controquestionario sulla buonascuola, invitando tutti i docenti a partecipare.

Gianluigi Dotti,
responsabile del Centro Studi Gilda ha illustrato il Regolamento del Sistema Nazionale di Valutazione (SNV) che è partito a settembre 2014.
Richiamando l'intervento di Scotto Di Luzio ha evidenziato il rischio che la valutazione si risolva nella ''misurazione'' della disponibilità del docente a rispondere alle richieste del dirigente. Ha segnalato la debolezza del corpo ispettivo italiano, ridotto a poche decine di ispettori, che dovrebbero valutare 8000 scuole.
Per costruire un buon sistema di valutazione ci vogliono soldi e i soldi non ci sono, quindi sarebbe stato meglio non fare nulla.
Altra questione è la pubblicazione dei rapporti di valutazione delle scuole, questione diversa dalla necessaria trasparenza, che riproporrà nell'immaginario delle famiglie scuole di serie A e di serie B, con gravi problemi in un sistema pubblico statale.

Rino Di Meglio,
coordinatore nazionale della Gilda, il quale nell'introdurre la parte politica del dibattito, alla presenza di due responsabili nazionali delle tematiche dell'istruzione, ha illustrato il seguente ragionamento, potremmo dire quasi un sillogismo: chi fa la buona scuola? I buoni insegnanti, i quali lo sono se dotati di competenze disciplinari.
La ''mentalità sindacalista'' ha corrotto la scuola quando ha introdotto l'idea di far guadagnare di più facendo altre cose e dequalificando la figura professionale del docente. L'obiettivo deve essere elevare la qualità media del docente.

Giuseppe Fioroni,
ex ministro dell'Istruzione e deputato del Partito democratico.
Bella scuola è diverso da Buona scuola. Chi conosce bene la disciplina e la sa trasmettere è un buon insegnante. Se non c'è una buona scuola perdiamo l'identità nazionale.
Il progettificio permanente nella scuola è stato abrogato nel 2007, ma la norma non viene applicata. Finchè lo stipendio sarà talmente basso e le esigenze di vita così elevate, non vi sarà prestigio per l'insegnante italiano.
La Buona scuola è un progetto interessante. Ribadire la centralità della scuola, come fa Renzi, è un concetto di per sè positivo.
Alcune cose nella proposta vanno però sistemate. Parlare sempre al popolo, porta a parlare con sè stessi allo specchio e allora difficilmente ci si dà torto. E' necessario invece confrontarsi anche con i cosiddetti ''corpi intermedi'' (sindacati, associazioni, ecc.), per raccogliere voci dissonanti e strutturate.
Aggiornamento e riqualificazione devono essere fatti in presenza. Il merito deve avere un presupposto. Formazione e aggiornamento devono essere obbligatori, il credito formativo è come le indulgenze ai tempi di Lutero, si rischia di farne oggetto di simonia. Tutti hanno la progressione di carriera, tranne il docente. Per ottenerla, questa progressione, rischiamo che il merito diventi ''lecchinaggio''. Bisogna ritornare alla centralità della professione docente (non di solo pane vive l'uomo, ma se non glielo si dà, crepa ...).

Silvia Chimienti,
deputata del Movimento Cinque Stelle.
È incostituzionale stabilire che solo il 66% dei docenti acquisisca gli scatti di merito. Io non mi sono iscritta a Lettere moderne perchè temevo che regalassero gli esami e mi sono invece iscritta a Lettere classiche, studiando il greco da zero. Aristotele va appunto letto in greco per essere capito. Difende anche lei l'importanza della cultura classica.

Il dibattito è stato molto partecipato, soprattutto nella seconda parte, per un confronto diretto con i rappresentanti politici.

Molti colleghi hanno ribadito l'importanza della preparazione disciplinare e la necessità di evitare la deriva dei corsi di varia natura, dai corsi di danza sarda a quelli di gastronomia.

  • .:. 

Condividi questo articolo: