Autovalutazione degli istituti scolastici e pubblicita' dei dati Invalsi

Il cambiamento, segno di crescita, deve scaturire da un bisogno interno che deve essere riconosciuto ed esplicitato. Il cambiamento avviene in un contesto riconosciuto come sicuro.” (Barbara Bertin, dal Corso ANFIS per Tutor dei Tirocinanti TT01)


20 Gennaio 2015 | di Maurizio Berni

Autovalutazione degli istituti scolastici e pubblicita' dei dati Invalsi Il recente regolamento di cui al DPR 80/2013 sancisce che ogni scuola italiana rediga un Rapporto di Autovalutazione (RAV), secondo un modello predisposto dall'INVALSI, e, l'art. 6 (Procedimento di valutazione) c. 1 lett. d) (rendicontazione sociale delle istituzioni scolastiche) , sub 1), prevede la “pubblicazione, diffusione dei risultati raggiunti, attraverso indicatori e dati comparabili, sia in una dimensione di trasparenza sia in una dimensione di condivisione e promozione al miglioramento del servizio con la comunità di appartenenza.”.
 
Non è chiaro se ciò implichi anche la diffusione dei dati delle prove standardizzate di italiano e matematica dell’INVALSI; anche perché tali dati non sempre sono frutto consapevole di azioni dirette a raggiungere gli obiettivi esplicitati dalle prove; dunque non possono definirsi a pieno titolo “risultati raggiunti”, ma tutt'al più dati di cui tener conto per le azioni successive. La questione della pubblicazione dei risultati di prove standardizzate è tutt'altro che chiusa e definita; è piuttosto oggetto di dibattito, studio e discussione nei diversi paesi, tanto è vero che nella stessa Europa paesi diversi hanno assunto decisioni diverse; solo per citarne alcuni, in Gran Bretagna vengono pubblicati i risultati, in Francia e in Finlandia no (in questo paese, addirittura, non esistono prove standardizzate).
 
E' opportuno ricordare in premessa che l'obiettivo finale di un processo lungo ed oneroso, come quello della valutazione di un sistema, è la sua valorizzazione, attraverso il miglioramento continuo. Dunque le misure adottate devono essere sempre proporzionate e funzionali a quell'obiettivo; nel momento in cui si perdesse di vista l'obiettivo e le scelte si basassero su petizioni di principio, subentrerebbero ben presto convinzioni di tipo ideologico che precluderebbero qualsiasi forma di dialogo tra le diverse posizioni. Occorre dunque individuare delle evidenze che mettano in relazione le azioni che si intraprendono con il raggiungimento dell’obiettivo. O queste evidenze sono già note in partenza, grazie per esempio a studi ed esperienze di altri paesi, opportunamente adattati al nostro contesto, oppure esse vanno ricercate, mediante l'individuazione di un insieme dinamico di indicatori e descrittori, da misurare, analizzare, e sottoporre ad un processo di revisione continua.
 
Non appaiono a tutt'oggi evidenze scientifiche che la scelta effettuata, per esempio, in Inghilterra, di pubblicare i risultati delle prove standardizzate abbia contribuito al miglioramento del sistema scolastico inglese; né sono stati registrati effetti controproducenti della diversa scelta effettuata nel sistema scolastico finlandese, che, pur in assenza di prove standardizzate a livello nazionale, sembra godere di ottima salute. E più le informazioni iniziali sulla relazione intercorrente tra determinate azioni e lo scopo che si prefiggono sono poche e frammentarie, se non del tutto assenti, più quelle azioni dovranno essere sempre accompagnate da un monitoraggio attento ed accurato, prevedendo un alto grado di reversibilità del corso di azione, per dirigerlo (o redirigerlo) verso l'obiettivo, unico punto fermo di tutta l'operazione; l’azione deve invece essere caratterizzata da un alto tasso di dinamismo; essa non dovrà mai procedere per inerzia o per convinzioni pregiudiziali, anche laddove si acquista la consapevolezza che non sia opportuno procedere. A questo proposito, è apprezzabile che si sia fatto un passo indietro sulla scelta, contenuta nel DM 93/2012, di consentire lo svolgimento di tirocini didattici solo nelle scuole in cui i risultati delle prove INVALSI sono pari o superiori alla media: basta riflettere un attimo per capire, anche senza esperienza specifica, che la risorsa di un tirocinante è importante per una scuola in difficoltà, e viceversa per un tirocinante un’esperienza in una scuola “difficile” (che sarà magari la prima tipologia di scuola in cui prenderà servizio, grazie alla fuga mediante trasferimento di chi ha maggiore anzianità), e in una situazione protetta grazie alle figure tutoriali che accompagnano il tirocinio, è come assumere un prezioso vaccino.
 
Ma per prevedere gli effetti di una data azione su un sistema, occorre prima di tutto circoscrivere e individuare questo sistema. Occorre cioè esplicitare cosa intendiamo per Scuola, perché una stessa azione condotta su sistemi diversi darà quasi certamente risultati diversi. A questo proposito si confrontano, con varie sfumature e intrecci, due diverse visioni che possono apparire come diametralmente opposte, soprattutto se rivestite di connotati ideologici forse non del tutto necessari:
 
1) La scuola come servizio pubblico a domanda individuale. Da questa accezione derivano alcuni corollari. Un servizio può essere più o meno “buono”: saranno gli utenti a giudicarlo; essi esprimono un indice di gradimento in base alla propria percezione (che è cosa diversa da una valutazione, ovvero un'operazione condotta da soggetti esperti), ed effettuano delle scelte conseguenti. Le scuole con più alto indice di gradimento saranno premiate, secondo una legge di mercato; quelle con indice più basso dovranno adoperarsi per migliorarlo, per evitare rischi che al momento non sono ancora definiti, ma che si possono prefigurare guardando le esperienze di quei paesi in cui prevale questa visione delle cose.
2) La scuola come istituzione della Repubblica, posta a garanzia di un diritto costituzionale (e come tale incomprimibile e non soggetto a deroghe), il diritto all'istruzione. Anche da questa accezione derivano alcuni corollari. Un'istituzione della Repubblica non può permettersi di essere “più o meno buona”, ma, come diceva Piero Calamandrei nel 1950, deve essere “ottima”; non può essere la scuola del 66% (definito e immutabile a priori) di bravi insegnanti, ma deve tendere al 100%, con un impegno continuo da parte dello stato verso questo obiettivo.
 
In realtà non vi è antitesi tra le sue accezioni, ma una relazione logica di inclusione propria: per capire quale, è sufficiente un ragionamento per assurdo. L'inclusione della seconda accezione nella prima non avrebbe senso, perché il “servizio a domanda”, in quanto tale, non garantisce l'uguaglianza delle opportunità, proprio in quanto prevede la possibilità di scelta tra alternative diverse; paradossalmente, la possibilità di scelta può realizzarsi solo in presenza di disuguaglianze; dove c’è equità la scelta diventa indifferente; ma la scelta tra situazioni diseguali, lungi dall’essere esercizio di libertà e di uguaglianza, è condotta in condizioni diseguali, esattamente come la libertà di scelta in un supermercato non è la stessa per tutti i clienti, ma dipende dal loro portafoglio: la libertà di scelta di una scuola non apre infatti lo stesso ventaglio di prospettive per tutti i cittadini, che sono discriminati in base al censo, al luogo di residenza, alla fortuna di poter disporre di mezzi di trasporto pubblico efficienti, la cui distribuzione nel territorio è piuttosto schizofrenica... .
 
Viceversa, la Scuola come istituzione della Repubblica ha certamente in sé elementi che la caratterizzano come servizio (aule, laboratori, servizi di trasporto, mensa; vi sono elementi di servizio anche all'interno della didattica: puntualità dei docenti in aula, loro stabilità, distribuzione equilibrata dell'orario delle lezioni, ecc.); si parla infatti della scuola come di un servizio pubblico essenziale, per esempio nella regolamentazione del diritto di sciopero; ma questi elementi di servizio, in quanto inseriti in un più ampio e complesso contesto istituzionale finalizzato alla realizzazione di un diritto sancito dalla costituzione, di cui la Repubblica si rende garante, rimandano immediatamente ad un impegno diretto dello Stato, teso a garantire l'uguaglianza delle opportunità ai propri cittadini, per rimuovere le cause delle loro disuguaglianze (“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”, art. 3 Cost.). Non si tratta quindi semplicemente (e semplicisticamente) di dare ai propri cittadini libertà di scelta ma di porre le condizioni affinché non occorra effettuare quella scelta, quel tipo di scelta. Lo stato deve adoperarsi affinché la scelta diventi tendenzialmente ininfluente rispetto alla qualità, e diventi tutt’al più una scelta di tipo elettivo. Si veda a questo proposito la conferenza di Pasi Sahlberg: "Finnish Lessons: What can the world learn from educational change in Finland?" alla pagina https://www.youtube.com/watch?v=2kK6u7AsJF8 dal minuto 49:40 al 54:10.
 
In entrambe le accezioni la valutazione è assolutamente necessaria (così come ogni azione cosciente e coerente di individui o di organizzazioni sociali è costantemente soggetta a decisioni e valutazioni, tanto più efficaci quanto più si basa su dati quantitativi), ma il suo scopo è solo apparentemente lo stesso nelle due accezioni di scuola; è sì finalizzata in entrambi i casi ad un obiettivo comune di valorizzazione, ma si divarica ben presto, e forse ancor prima del raggiungimento di quell’obiettivo: in un caso infatti, essa è finalizzata a comunicare ai cittadini la misura di alcuni indicatori di qualità di una certa gamma di “prodotti”, per dare ad essi una libertà di scelta “da supermercato”; in questo caso si suppone che il “miglioramento” venga sollecitato sui diretti interessati (le singole istituzioni scolastiche, parti terminali di un sistema che non viene mai messo in discussione nel suo complesso) dagli effetti negativi di un danno d’immagine complessivo, causato da diversi fattori; l’ostensione di dati negativi degli esiti delle prove standardizzate potrebbe essere uno di quelli; nell'altra accezione, la valutazione serve a comunicare allo Stato dove intervenire con sollecitudine per garantire ai cittadini un sistema scolastico formato da Scuole di qualità diffuse su tutto il territorio nazionale, attivando tutta la catena delle responsabilità, dal ministro fino all’ultimo operatore della singola scuola.
Su quali indicatori, nei documenti di rendicontazione sociale, mettere in relazione le scelte effettuate e i risultati raggiunti, questo dovrebbe deciderlo la scuola stessa, nella sua autonomia; in definitiva potremmo affermare che su ciò che è standardizzato a livello nazionale il dialogo e le azioni dovrebbero instaurarsi tra l’istituzione scolastica e lo Stato, su ciò che è autonomo e adattato ai bisogni del contesto di riferimento il dialogo e le azioni dovrebbero instaurarsi tra l’istituzione scolastica e il territorio di appartenenza.
 
Riguardo alla valutazione, ogni tanto si fa ricorso a delle metafore. Una abbastanza ricorrente è quella dello specchio: partendo dalla constatazione che solo il 50% delle scuole italiane accede ai risultati restituiti dall'INVALSI relativamente alle prove standardizzate, si è detto che è come se l'altro 50% “... rifiutasse di guardarsi allo specchio”. Forse sono ancora lontani i tempi in cui le scuole potranno disporre di risorse sufficienti per dotarsi di buoni specchi, piani e ben riflettenti, che non siano né opachi, né deformanti... ad esempio, una prova di italiano e una di matematica coinvolgono tutti i docenti della scuola primaria, molti meno di una secondaria di primo grado, ancor meno di una scuola secondaria di secondo grado; basta guardare l'incidenza oraria dei docenti di queste due materie negli orari settimanali dei vari ordini di scuola per rendersene conto. E’ pur vero che le competenze relative a queste due discipline sono trasversali, e si costruiscono grazie all’intero curriculum. Ma è chiaro che le responsabilità in capo ai docenti, nella secondaria, sono assai diversificate, e tendono a zero per coloro che prendono le classi a partire dal terzo anno di scuola superiore, visto che le ultime prove vengono effettuate alla fine del secondo anno. Dunque stiamo parlando di specchi che riflettono solo parzialmente l’immagine. E cercar di migliorare la propria immagine solo in base ai lineamenti riflessi, lasciando nell’ombra tutti gli altri, può portare a risultati caricaturali, assai diversi da quelli attesi (mi riferisco in particolare al teaching to test).Conoscere la propria immagine significa scoprirne i difetti, alcuni dei quali si possono correggere, e altri no, almeno non a questo livello di intervento; nel qual caso è opportuno esplicitare quali sono le altre variabili in gioco, perché non si attribuiscano alla singola scuola responsabilità imputabili ad altri soggetti del sistema. Ovviamente, non per aumentare le attribuzioni a questo livello, con un ulteriore disinvestimento di quelli superiori; si pensi per esempio alle ipotesi fantasiose di “chiamata diretta” dei docenti: non è chiaro con quali competenze le singole scuole pensino di operare queste bizzarre selezioni; stranamente non si è mai pensato alla chiamata diretta di personale ATA, la cui selezione sarebbe certamente meno impegnativa in termini di competenze da verificare. Piuttosto, per individuare, mettere in comunicazione e far entrare nel meccanismo della valutazione tutti i livelli di responsabilità di questo complesso sistema che è quello scolastico.
Una volta che un soggetto (in questo caso la singola istituzione scolastica) ha imparato a conoscere ed accettare la propria immagine, individuare i propri difetti eliminabili, e i livelli di responsabilità, può utilmente entrare in gioco anche una valutazione esterna: essa non costituirà più una sentenza a carattere assoluto, ma diventerà un punto di vista con cui la scuola potrà confrontarsi dialetticamente. E l'interlocuzione, all'interno di certe regole fissate e condivise a priori, sarà senz'altro utile al miglioramento non solo dell'istituzione sottoposta a valutazione, ma anche del sistema di valutazione, determinando retroazioni positive in tutte le direzioni. Per esempio far sapere al sistema di valutazione se la scuola ha interesse a divulgare i dati delle prove INVALSI, oppure ha interesse, magari per un certo periodo, a non pubblicarli, questo è un dato di sicuro interesse, che viene perso se si affronta la questione imponendo obblighi in modo burocratico e unidirezionale, e sbagliando clamorosamente i tempi; perché a prescindere dalla questione di principio sull'opportunità o meno di rendere pubblici i dati dello “specchio”, non appare affatto opportuno pubblicare i dati prima che l'istituzione scolastica abbia imparato a specchiarsi, e a interloquire di quell’immagine di sé con l'esterno. Permettere alle scuole di essere proattive e propositive nella valutazione fa bene a tutto il sistema.
 
Tempo dunque; occorre darsi tempo sulla scelta della pubblicazione dei dati, per studiare e approfondire la questione, senza dogmi o pregiudizi; occorre invece agire subito con le altre, a partire dallo “specchio”, ovvero dall'autovalutazione che aiuti ad esplicitare i processi e a metterli in relazione con i risultati attesi, per attivare una metacognizione di sistema.
Ma lo specchio non basta. Esso, bene che vada, mostra l’aspetto esterno, ed è solo un pallido indizio di ciò che più conta, ovvero lo stato di salute, la cui diagnosi richiede azioni assai più impegnative e costose. Sarebbe inutile e fuorviante ridurre tutta l'operazione ad un maquillage per migliorare il proprio aspetto esterno e mostrarsi più attraente “al pubblico”, agendo, peraltro, esclusivamente su quelle parti e quei lineamenti che sono sotto i riflettori. Si rischia di creare l’immagine triste e caricaturale di una persona malata che invece di curarsi si trucca e si imbelletta in modo pesante. Noi vogliamo invece che il miglioramento sia non tanto sull’aspetto esterno, quanto piuttosto sullo stato di salute complessivo del sistema; lo stato di salute si diagnostica con strumenti assai più impegnativi e costosi che non un semplice specchietto di dubbia qualità riflettente, e lo si persegue con una cura costante, ivi compresa la prevenzione, a cominciare da una “sana alimentazione”. Una sana alimentazione per la scuola è costituita da un flusso costante di insegnanti (evitando di passare ciclicamente dalla bulimia all’anoressia), che siano capaci, ben preparati e selezionati in modo serio; di persone capaci il nostro paese è pieno: si tratta di attrarle e di non demotivarle; il problema serio nel nostro paese riguarda le fasi successive, ovvero la preparazione e la selezione; è cattiva alimentazione per la scuola assumere docenti lasciandoli in una condizione di precarietà per dieci, quindici, venti anni; è come costringere questo organismo a pasti perennemente irregolari; così come non ha fatto certo bene interrompere per quattro anni consecutivi i percorsi abilitanti (è stato come smettere di coltivare gli alimenti necessari all'organismo), per poi essere costretti ad imbarcare nel frattempo decine di migliaia di laureati non abilitati a svolgere il ruolo di docenti (ovvero fornire all’organismo sostanze che non necessariamente sono alimenti); mi astengo dallo spingere oltre la metafora, visto che si parla di persone è stato dato un compito difficile senza fornire loro gli strumenti necessari per svolgerlo al meglio, ma è a tutti chiaro che effetto farebbe ad un organismo questo tipo di alimentazione; fa male alla salute della scuola aver fatto un concorso nel 1990, quello dopo nel 1999, quello dopo ancora nel 2012, e il prossimo chissà quando, con graduatorie del 1990 da cui si continua ad attingere, dopo ben venticinque anni (si veda la classe A030 di scienze motorie in Toscana per esempio)! E che dire del modo in cui viene gestito il regime, tuttora transitorio, della formazione iniziale per gli insegnanti delle scuole secondarie, con dei TFA stentati e disorganizzati? E’ davvero un pessimo “regime alimentare”, quello del rifornimento di insegnanti, per un organismo-scuola che vuole mantenersi in salute, e forse più che guardarsi allo specchio bisognerebbe chiamare il 118: ma se tutta la valutazione del sistema si concentra in misura abnorme sulle singole istituzioni scolastiche, e ogni scuola si concentra esclusivamente su di sé, chi farà una valutazione delle responsabilità che stanno più in alto e che condizionando la salute di tutto il sistema condizionano pesantemente tutte le sue articolazioni?
 
Un'altra metafora che viene utilizzata per sensibilizzare sull’urgenza delle azioni di valutazione è quella del Titanic che affonda e dell'orchestrina che continua a suonare: perché discutere ancora su valutazione sì o no, o sulla pubblicazione-non pubblicazione dei dati? Non c'è tempo di perdersi in chiacchiere! Bisogna agire, la nave sta affondando! Ma se la nave stesse davvero affondando e non ci fosse quindi possibilità di fare alcunché, far continuare l'orchestra sarebbe certamente il modo migliore per vivere gli ultimi istanti della propria vita! Non si vede infatti per quale motivo razionale si debbano mettere in atto sforzi “titanici” per andare incontro ad una morte ineluttabile. No, la scuola italiana non è il Titanic che sta già affondando, è piuttosto quella barca nel mare in tempesta della storiellina di Calamandrei , i cui due personaggi si comportano in modo assai diverso: uno si preoccupa e vorrebbe fare qualcosa, mentre l'altro, Beppe, continua a dormire nella stiva: “Beppe Beppe! Se continua questo mare tra mezz'ora il bastimento affonda!” E Beppe: “Che me n'importa! Un è mi(c)a mio!”. Sì, questa è la scuola, un bastimento ancora miracolosamente a galla in un mare in burrasca, con tanti Beppe che ci stanno sopra, continuando a pensare in modo suicida che non sia cosa loro. E se la nave, grazie anche a meriti non riconosciuti ma su cui si fa comunque affidamento, non affonderà, ma uscirà malconcia dalla burrasca, sarà opportuno e urgente rinforzarla e metterla in condizione di superare le altre inevitabili burrasche che dovrà affrontare.
 
Ecco allora la necessità di vagliare bene le scelte, che devono essere reversibili, per correggere la rotta, giungere a porti sicuri, e ripartire imparando dagli errori fatti, con più conoscenza, più investimenti, più fiducia.
 
 


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